venerdì 6 agosto 2010

Riprendersi New York

Sono cresciuta col mito di New York, sognandola e immaginandola per anni. Ne ho coltivato l'immagine romantica offertami da Woody Allen e da Lizza Minnelli: un mondo rutilante, frenetico, bramoso di vita, di arte, di creatività... una città dove ognuno può esprimere se stesso, dove l'immaginazione può vagare libera verso qualsiasi meta. Un laboratorio da cui può venir fuori di tutto, probabilmente pure la ricetta per un mondo un po' migliore di questo.
Era un'immagine straordinaria e rincuorante, la mia. Era rincuorante pensare che un giorno, forse, sarei stata anche io a New York, mi sarei immersa finalmente nella grande metropoli dell'arte e delle sperimentazioni. Avrei abbandonato la mia Firenze così ammuffita, atrofizzata dall'eredità rinascimentale, per esplorare nuovi lidi, nuove possibilità.
Ebbene, quest'estate ho visto New York. Woody Allen non c'era, così come non c'era la splendida Rapsodia in blu di Gershwin, a far da sottofondo ai grattaceli di Manhattan.  La città mi è parsa meravigliosa, difficilmente può non piacere. Però adesso il sogno è svanito, perso per sempre. La distanza tra me e quel rifugio immaginifico è venuta meno. Non esiste più la chimerica New York dove puoi passare notti insonni a guardare i grattacieli illuminati parlando del senso della vita. Non esiste più la New York di Broadway, dell'arte,  delle infinite possibilità espressive... Adesso esiste qualcosa di molto più complesso e sfaccettato, perché più vero. Adesso esistono musei straordinari, che in fatto di arte contemporanea fanno scomparire la nostra bella Italia; esistono parchi brulicanti di pittori e musicisti, negozietti di musica e teatri;  giardini sopraelevati costruiti sui resti di linee della metro e palazzi dalle forme più bizzarre; esistono persone che fanno gli orti sui grattacieli e effettivamente esiste ancora Broadway... però ci sono anche i senza tetto; c'è tanto degrado urbano e tanto spreco. Esiste che a New York ti fanno bere l'acqua nei bicchieri di  polistirolo.  E io lo so che il polistirolo è solo un simbolo, che non si può valutare una città soltanto da un bicchiere. Però non posso farci niente, a me quel bicchiere di polistirolo mi distrugge. Non vedo speranza di cambiamento laddove si beve nel polistirolo. Non vedo romanticismo, innovazione, creatività. Vedo solo tanto cattivo gusto e tanta poca attenzione al futuro.
E' bella New York, rutilante e ricca di vita come l'avevo immaginata. Se potessi ci tornerei quanto prima e ci starei un mese, per scoprirla tutta, in lungo e in largo. Però New York è una città vera, e come tale non è perfetta. Ora che ci sono stata il mio sogno mi manca un po'. Vorrei potermelo riprendere, in un certo senso. Vorrei rivedermi un classico di Woody (perché no, forse proprio quel mitico Manhattan del '79, con Gershwin che fa da colonna sonora) e tornare a sognare di questa straordinaria città lontana. Vorrei dimenticare il polistirolo e sentire solo la Rapsodia in blu. 
Qualcuno sostiene che "nessuna carovana ha mai raggiunto il suo miraggio, ma solo i miraggi hanno messo in moto le carovane". Ebbene, il miraggio ormai è palesemente svanito. Bisognerà trovarsene uno nuovo. L'importante, in un modo o nell'altro, è non perdere mai la voglia di muoversi.
Ok, dopo questo lungo pippone vi saluto con un'immagine del 1938, ad opera dell'allora quarantenne  Berenice Abbott, una delle più grandi documentariste del 1900, una di quelle che ce l'aveva a morte con chi voleva usare la machina fotografica come fosse una versione tecnologicamente avanzata del pennello. Avvicinandosi alla storia della fotografia si incontra un numero relativamente limitato di donne, ma devo dire che quando le si incontra fanno la loro porca figura.

Il ponte di Brooklin visto da Berenice Abbott, 1938

1 commento:

  1. L'importante, in un modo o nell'altro, è non perdere mai la voglia di muoversi...
    ... verso sempre nuovi sogni (o miraggi)!

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