"Ho visto il Titanic dieci volte, al cinema", mi ha detto qualche giorno fa un signore, dentro un videonoleggio. "L'ho visto dieci volte perchè ogni volta notavo un dettaglio nuovo della nave. Era come un sogno. Quel film mi ha fatto essere sul titanic per due ore. D'altronde se devo andare al cinema a vedere la vita di tutti i giorni me ne sto a casa. Io al cinema voglio sognare". La stessa cosa affermava Alfred Hitchcok quando sosteneva: "il cinema non è un pezzo di vita, è un pezzo di torta".
In effetti la straordinaria capacità delle immagini in movimento di trasportarci in altri mondi ne costituisce forse il maggior fascino. Chi di noi non ha mai sognato ad occhi aperti grazie a un film? A prescindere da quanto si possa ritenere superfluo vedere un film che racconta vicende di vita quotidiana, credo che tutti noi, talvolta, non si disdegni qualche fuga dalla realtà circostante.
Il fatto è che questo rapporto tra noi e le immagini è quanto meno ambiguo: noi possiamo fuggire dalla nostra realtà quando vogliamo, immergendoci in quella di un Titanic, o di un Signore degli anelli, ma un personaggio di un film può fare la stessa cosa? Può sgattaiolare dal mondo diegetico e rifugiarsi nel nostro, oppure è destinato a star per sempre dentro un 16:9? E se esistesse un luogo di confine, una zona a metà strada fra la realtà e il sogno?
La foto in questione racconta di una reciproca fuga; o almeno, a me piace interpretarla così. Noi entriamo nel film e il protagonista ne esce. Che ci si possa forse incontrare a metà strada? Chissà...
La foto non brilla per perfezione tecnica, come il suo stesso autore, Daniele Greco, ammette, ma c'è qualcosa di poetico che la rende, a mio avviso, interessante.
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