Resto sovente impressionata dal bisogno che certi autori sembrano avere di mostrare, ma forse dovrei dire ostentare al massimo la violenza. Non sono contraria alla violenza sullo schermo, sia chiaro, solo che non sempre la rappresentazione fenomenologica di un fatto drammatico è accompagnata da una reale riflessione sulle sue origini, sulla sua natura profonda, e questo francamente mi dà da pensare. L'estremo realismo delle immagini serve a ben poco se la messa in mostra di un fatto - sia esso uno stupro, un assasinio, un pestaggio o che so io - risulta fine a se stessa. Non è mai quel che si vede che fa male, è come lo si vede e perché.
Di recente ho avuto modo di vedere Rocco e i suoi fratelli, di Visconti, un opera datata 1960. Ebbene, in quel film, una pellicola che sta per compiere cinquant'anni, ho visto una delle immagini più atroci che mi sia capitato di vedere sullo schermo. Oggi come oggi si fa di tutto per impressionare lo spettatore: effetti speciali da urlo, telecamere in spalla per favorire l'immedesimazione del pubblico, primi piani su corpi sanguinolenti e urla a non finire. Poi un giorno guardi un film del 1960 e ti ritrovi inorridito davanti a una scena di stupro. Curioso, no?
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