Penso che le mamme andrebbero "uccise" verso i diciotto-venti anni, non oltre. Bisognerebbe ucciderle con violenza, e poi farle rinascere, per costruire con loro un rapporto veramente paritario. Bisognerebbe accantonare la rabbia adolescenziale e dar spazio alla tenerezza. Tramutare la rabbia in tenerezza. Riuscire ad affermare se stessi e la propria "adultità", senza per questo dover rinunciare al rispetto reciproco e alla condivisione.
Se fossimo in un mondo perfetto le cose andrebbero così. Nel nostro mondo invece è tutto diverso. I figli, specie i maschi, a quarant'anni hanno ancora bisogno della mamma per sapere dove tengono i calzini puliti. E se non è la mamma a dir loro dove trovarli, lo fa la compagna, il surrogato con meno rughe.
Le mamme incomcobono, straparlano, fagocitano. Il loro amore sovente soffoca e i figli faticano a crescere, a trovare la loro strada. I maschi son molto spesso succubi e le femmine non sempre se la passano tanto meglio.
Ebbene, l'ultima fatica di Herzog racconta di un matricidio. Uno di quelli veri, non metaforici. Racconta del delirio di un uomo che compie un gesto estremo per difendere-trovare-rivendicare se stesso. Racconta di uno che non ce l'ha fatta a tramutare la rabbia in tenerezza. Uno che c'è rimasto sotto, per intendersi. Purtroppo, nel far questo, il regista trascura l'analisi delle cause della tragedia. Concentrato nel trasporre visivamente e simbolicamente la follia del protagonista, cosa che tra l'altro gli riesce assai bene, Herzog fatica un po' ad andare oltre. Il film inquieta parecchio in certe sequenze, ma nel complesso l'operazione risulta un po' fine a se stessa, un po' superficiale e autoreferenziale.
Notevole il cast.
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