Mid West, anni '60. Un professore di fisica, sposato e con due figli, vive una vita abbastanza monotona, ordinaria. E' un tipo tranquillo, senza tante pretese: il classico uomo qualunque. La sfiga però si accanisce su di lui e la sua vita va a pezzi. La moglie lo molla per un altro; i figli lo ignorano; uno studente coreano lo corrompe e lo minaccia in seguito di diffamazione; un vicino di casa taglia l'erba del suo prato. Alla fine ci si mette la salute che vacilla e l'uragano che incombe. Letteralmente travolto dai guai, il pover'uomo si rivolge durante il film a tre rabbini, ma con scarso successo: di fronte al mistero delle vita e a ciò che essa può avere in serbo per ognuno di noi, la fede conta ben poca cosa.
L'ultimo film dei Cohen, non si limita, come qualcuno ha scritto, a demolire l'illusione di una vita perfetta; ci racconta piuttosto di come la sfortuna possa talvolta inferocirsi contro un essere umano e non mollarlo mai, non dargli alcuna tregua. Se Woody Allen, nel suo Match Point, mette in scena la storia di un uomo colpevole di atroci crimini ma baciato dalla fortuna, i fratelli Cohen ribaltano il tutto mostrandoci un uomo senza alcuna colpa perseguitato però dalla sfortuna. Un uomo costretto ad accorgersi di "quante siano le cose che sfuggono al nostro controllo", citando sempre il film di Allen. E non è un caso se cito Woody: tale riferimento è giustificato anche dalla comune radice ebraica dei registi e dal fatto che in Serious Man, così come in molte opere alleniane, la solitudine, il caos e il vuoto di senso non possono essere in alcun modo modo alleviati dal ricorso alle tradizioni o alla fede.
Per concludere: il film in generale diverte, lasciando però molto amaro in bocca. E' diretto magistralmente e interpretato bene. Peccato risulti un po' troppo lungo e abbia un ritmo talvolta un po' fiacco.
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