A tutti nella vita capita di perdere una persona cara. All'inizio il dolore è cocente, lancinante. E' una di quelle robe che non si può spiegare a parole: semplicemente è un malessere che annienta.
Poi col tempo arriva la nostalgia, la tenerezza... ti ritrovi a pensare a quella persona che non c'è più con il sorriso sulle labbra, invece che con le lacrime agli occhi. Fino a qualche tempo prima il ricordo ti feriva immensamente; adesso ti fa quasi star bene, ti rassicura. Ripensi al suo volto, alla sua voce, ai bei momenti vissuti con lei... improvvisamente tutto si rasserena e tu capisci: in qualche modo stai elaborando la perdita.
Ebbene, non si può arrivare alla nostalgia e al sorriso sulle labbra se non si passa dal dolore cocente. Non si può esser riscaldati e coccolati dal pensiero di chi si è amato se prima non ci si sente raggelare dalla sua mancanza. Bisogna piangere, urlare, inveire contro tutto e tutti. Bisogna farsi travolgere dal dolore e dalla rabbia, altrimenti non si torna più a vivere. La morte del nostro caro diventa la nostra morte.
Ecco, per capire tutto questo non serve vedere Qualcosa di speciale. Basta avere un minimo di buon senso, diciamo. E allora a cosa serve vedere un film del genere? Onestamante viene da chiederselo. La vicenda di questo film, in bilico tra commedia e melodramma, è quanto mai scontata; il ritmo non è che scoppietti. Insomma, se volete un consiglio, risparmiatevi i novanta minuti di film e se un domani ne aveste bisogno tenete a mente quello che modestamente vi ho appena suggerito: in caso di lutto non cercate scorciatoie, accettate il dolore e fatevene una ragione. Col tempo starete meglio.
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