Quanto ha ragione Roberto Faenza: l'abbandono è qualcosa che devasta. Il dolore può trasformarci al punto tale da farci far cose che mai avremmo immaginato di fare. Quando ci si sente traditi, umiliati, feriti nell'orgoglio si finisce col perdere se stessi. Se viene meno la fiducia in chi si ama viene meno ogni certezza. Di punto in bianco tutto ciò che conta sembra sgretolarsi e allora parte il meccanismo di negazione; poi si reagisce con rabbia o ci si butta su un letto restando inermi per ore; poi ancora si urla, ci si dispera, ci si incazza come iene... si va fuori di testa, c'è poco da fare.
Roberto Faenza, con I giorni dell'abbandono, ci racconta tutto questo: una donna di mezza età improvvisamente annichilata dal tradimento del marito. Un'esistenza distrutta, disintegrata. Peccato però che il regista non riesca a tessere il suo racconto senza ricorrere a visioni simboliche di dubbio gusto, luoghi comuni di ogni genere e dialoghi imbarazzantemente finti. Margherita Buy e Luca Zingaretti son bravissimi, ma molte scene tra l'onirico e l'allucinatorio abbassano un po' il livello del film e certi dialoghi, specie quelli dei bambini, fanno quasi impallidire.
Ancora una volta, davanti a un film italiano, ho la sensazione che non si riesca mai ad uscire dal cliché. Che peccato!
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