Vorrei segnalare che dal primo di novembre fino al giorno 7 si terrà, a Firenze, la cinquantesima edizione del festival del cinema documentario chiamato Festival dei Popoli. Se qualcuno volesse farci un salto... io credo ne varrà la pena.
Per ulteriori info vi rimando al sito: Festival dei Popoli
sabato 31 ottobre 2009
giovedì 29 ottobre 2009
Bastardi senza gloria

martedì 27 ottobre 2009
Viola di mare

Ci sono due cose valide nel film di Donatella Maiorca: la fotografia e la recitazione delle due protagoniste, nonché di Ennio Fantastichini. Il resto francamente traballa, non convince: la psicologia dei personaggi è veramente piuttosto abbozzata, la messinscena non è omogenea... perfino la passione tra le due donne non riesce a fare presa, è come se certe immagini fossero poco naturali, troppo impostate.
Il film, come dice giustamente Davide Turrini "senza il chiacchierare pre e post proiezione sul tema "lesbico" che si avviluppa sui corpi delle protagoniste Valeria Solarino e Isabella Ragonese, avrebbe ben poco da mostrare". Per concludere, il solo fatto di avare un tema forte - una vicenda di amore impossibile nella Sicilia di fine ottocento - non basta a sostenere un film deboluccio.
mercoledì 21 ottobre 2009
Burn after reading

Oggi voglio segnalare a chiunque ancora non lo abbia vista l'ultima divertente commedia dei fratelli Cohen.
La trama in due parole è questa: un analista della Cia si ritrova improvvisamente disoccupato e decide di scrivere un libro di memorie. Il dischetto di memorie finisce per sbaglio nelle mani di Linda e Chad, due tizi squinternati che lavorano in una palestra. I due risalgono al proprietario e tentano di ricattarlo, combinando un bel po' di casini.
Il film dura quanto basta, né troppo né troppo poco; ha un buon ritmo e riesce a strappare diverse risate, giocando intelligentemente sui luoghi comuni. Il cast merita davvero: da John Malkovich a Frances Mc Dormand, passando per l'algida Tilda Wilson, etc. Grandioso, in particolare, Brad Pitt che fa l'idiota.
domenica 18 ottobre 2009
Il papà di Giovanna

Film pacato, molto sobrio, incentrato, in tipico stile Pupi Avati, sulla spicologia dei personaggi. Non un capolavoro, ma un film piacevole e ben recitato - dignitoso anche Ezio Greggio, per la prima volta in un ruolo drammatico. Un po' inutile, per non dire inappropriata, a mio avviso, la parte finale con il vicino di casa fascista che viene fucilato dai partigiani.
domenica 11 ottobre 2009
Per chi ama i misteri...
Le immagini dovrebbero suscitare domande più che fornire risposte, a mio avviso. A tal proposito, a tutti gli amanti dei misteri, consiglio vivamente di buttare uno sguardo alla galleria dello scultore nonché fotografo gallese Mac Adams. Se cercate interrogativi le sue opere ve ne forniranno moltissimi.
Kettle, 1987, dalla serie Post modern tragedies.
Kettle, 1987, dalla serie Post modern tragedies.
venerdì 9 ottobre 2009
District9
martedì 6 ottobre 2009
Per chi ama i classici...
Non disprezzo la fotografia digitale, o per meglio dire elettronica - qualcuno potrebbe infatti obiettare che "digitale" si riferisce in verità al metodo di rappresentazione, non alla tecnologia utilizzata.
Una bella immagine è una bella immagine: poco importa che sia stata realizzata tramite dei cristalli di bromuro d'argento in una gelatina o tramite degli elettrodi su un microchip. Lo stesso dicasi per una brutta immagine o per un'immagine semplicemente inutile.
Quello che mi infastidisce un po' è la contraffazione: il ritocco non funzionale all'espressione artistica, bensì atto a camuffare dei difetti. La fotografia chimica non prescinde dalla possibilità di contraffazione, sia chiaro; il digitale ha solo reso le cose un po' più semplici, tutto qua.
Ok, dopo questo pippone vi saluto con un'immagine che amo particolarmente e che credo sia emblematica di un tipo di fotografia "pura", aliena da artifici e correzioni. La foto, una delle sue più celebri, è di August Sander, fotografo tedesco vissuto a cavallo fra il 1800 e il 1900. L'immagine parla da sè, per cui mi cheto.
Il pittore, 1927
Una bella immagine è una bella immagine: poco importa che sia stata realizzata tramite dei cristalli di bromuro d'argento in una gelatina o tramite degli elettrodi su un microchip. Lo stesso dicasi per una brutta immagine o per un'immagine semplicemente inutile.
Quello che mi infastidisce un po' è la contraffazione: il ritocco non funzionale all'espressione artistica, bensì atto a camuffare dei difetti. La fotografia chimica non prescinde dalla possibilità di contraffazione, sia chiaro; il digitale ha solo reso le cose un po' più semplici, tutto qua.
Ok, dopo questo pippone vi saluto con un'immagine che amo particolarmente e che credo sia emblematica di un tipo di fotografia "pura", aliena da artifici e correzioni. La foto, una delle sue più celebri, è di August Sander, fotografo tedesco vissuto a cavallo fra il 1800 e il 1900. L'immagine parla da sè, per cui mi cheto.
Il pittore, 1927
lunedì 5 ottobre 2009
Religiolus
Il comico Maher confonde questioni storiche con questioni religiose, religiosità con fondamentalismo, fatti scientifici con fatti di fede. Egli condanna l'intollerenza delle religioni, ma interrompe costantemente i suoi interlocutori in modo piuttosto prepotente; sembra inoltre avercela a morte con il populismo ma ha lui per primo un approccio populista e molto superficiale. Le sue interviste non permettono un reale approfondimento dei temi trattati. Tutto è finalizzato alla mera e semplice ridicolizzazione: evidentemente ridicolizzaare la diversità è più facile che provare a capirla, confrontandosi seriamente con essa. Religiolus si propone di scuotere le coscienze ma fallisce in modo evidente, nella misura in cui non riesce a dare reali spunti di riflessione.
Il curioso caso di Benjamin Button
domenica 4 ottobre 2009
Lilija 4-ever
Lilja 4-ever è, a tutti gli effetti, un pugno ben assestato nello stomaco. Inizia male, continua malissimo, finisce da schifo. Con uno stile sobrio e minimalista - fin troppo asciutto, talvolta - il film racconta una storia crudele e senza speranza.
In una città indefinita dell'Ex URSS, nel degrado più agghiacciante, Lilja vive da sola, dopo esser stata abbandonata dalla madre, emigrata negli Stati Uniti. Lilja ha appena sedici anni e si ritrova a dover combattere per la sua stessa sopravvivenza. Non ha un lavoro, vive in una casa fatiscente e si fa di colla per evedare dall'orrore che la circonda.
Quando comincia a prostituirsi per lei è l'inizio della fine. Volodia, il suo unico giovane amico, sembra aver compreso il tremendo destino che la aspetta, ma lei non vuole ascoltarlo, ha troppo bisogno di sognare. Nel giro di poco tempo viene abbindolata da un giovane svedese che la raggira e la fa andare in Svezia illudendola di trovarle un lavoro e di regalarle una nuova vita. In Svezia Lilja diventa una schiava: corpo inerme nelle mani di un padrone. Semplice merce di scambio: ogni ora un corpo diverso la sovrasta. Uomini giovani, vecchi, timidi, eccentrici, violenti, bavosi. Moodysson mostra vere e proprie carrellate di uomini che si susseguono sopra l'esile corpo di Lilja e lo fa con una freddezza che lascia perplessi. C'è qualcosa di surreale e di tremendo in queste sequanze. In quell'est degradato, violentato dal capitalismo occidentale, Lilja era sola e disperata, ma almeno decideva della sua vita. Nella nordica Svezia Lilja non esiste, la sua dignitià di essere umano non c'è più. Il vero orrore non è rappresentato tanto dall'Ex URSS, con i suoi decadenti palazzoni grigi, ma dalla moderna Europea del nord, con le sue città pulitissime e le sue luci colorate durante la notte.
Per concludere: se siete in vena di fare a botte guardatevi pure Lilja 4-ever, ma state certi che ne prenderete di santa ragione.
venerdì 2 ottobre 2009
La casa sul lago del tempo
Un amore impossibile, questo è il tema del film di Alejandro Agresti, remake di un'opera coreana. Due persone che si cercano, si aspettano e non si trovano mai.
E' vero, la vicenda non è così semplice, a dirla tutta. C'è un paradosso temporale, ebbene si: lei vive nel 2006 e lui nel 2004, ma questo poco importa. La casa sul lago del tempo non è un film di fantascienza, benché ne abbia in parte i connotati. E' una struggente storia d'amore dal ritmo decisamente lento e dal sapore un po' malinconico. Keanu Reeves è "languido e straziante" come qualcuno lo ha definito; Sandra Bullock tutto sommato è dignitosa. La coppia funziona abbastanza, insomma e l'ambientazione del film ha un suo fascino. Troppo romantico e smielato? Si, decisamente. Un po' macchinoso? Anche. Però nel complesso c'è qualcosa che intriga e che rende il film degno di nota. (Ho detto degno di nota, non spettacolare, sia chiaro)
E' vero, la vicenda non è così semplice, a dirla tutta. C'è un paradosso temporale, ebbene si: lei vive nel 2006 e lui nel 2004, ma questo poco importa. La casa sul lago del tempo non è un film di fantascienza, benché ne abbia in parte i connotati. E' una struggente storia d'amore dal ritmo decisamente lento e dal sapore un po' malinconico. Keanu Reeves è "languido e straziante" come qualcuno lo ha definito; Sandra Bullock tutto sommato è dignitosa. La coppia funziona abbastanza, insomma e l'ambientazione del film ha un suo fascino. Troppo romantico e smielato? Si, decisamente. Un po' macchinoso? Anche. Però nel complesso c'è qualcosa che intriga e che rende il film degno di nota. (Ho detto degno di nota, non spettacolare, sia chiaro)
giovedì 1 ottobre 2009
Basta che funzioni
Il motto, nonché titolo del film, è Basta che funzioni. In effetti l'ultima commedia di Woody Allen funziona piuttosto bene, non c'è che dire. Non è un capolavoro ma un film piacevole; un film che diverte e invita alla riflessione, come ogni commedia che si rispetti dovrebbe fare.
Il protagonista, perfetto alterego dell'autore, è un ex professore universitario decisamente misantropo e incline al cinismo, che un giorno conosce una ragazza e vede crollare tutte le sue certezze.
La sceneggiatura, scritta negli anni 70, contiene una miriade di auto-citazioni; inoltre il regista, fin dall'inizio del film, offre al pubblico esattamente ciò che il pubblico (o almeno quello più affezionato) si aspetta da lui. Come dice Mereghetti "è fin commovente il modo in cui Woody Allen gira intorno ai soliti temi e ripropone sempre lo stesso "stile", a cominciare da quei titoli di testa bianchi su fondo nero, con gli attori in rigoroso ordine alfabetico."
Commovente o irritante, a seconda dei punti di vista. A mio avviso entrambe le cose. Il buon vecchio Woody palesa il suo narcisismo e prende in giro gli spettatori, me inclusa, dimostrandone la sostanziale stupidità. Lo fa in modo indiretto, tramite i continui rimandi ai suoi altri film, appunto; ma lo fa anche esplicitamente, nella scena in cui il protagonista guarda la macchina da presa e interpella il pubblico, cercandone la complicità. Lo stesso giochino del personaggio che parla con lo sguardo in macchina è tutto fuorché innovativo.
Per concludere, è come se per novanta minuti Woody ti dicesse: "Ma guarda che idiota che sei, paghi per vedere sempre le solite cose, per sentire sempre le solite battute stantie che ho usato mille volte. Io so fare solo questo eppure tu continui a seguirmi". E tu, dal buio della sala, sai perfettamente che ha ragione lui e ti senti un idiota, in un certo senso. Eppure non puoi fare a meno di stare al gioco. Vieni deriso ma sei tu il primo a riderne. Sei la vittime di un carnefice geniale e diabolico, del quale però non puoi fare a meno.
Che straordinaria invenzione il cinema!
Il protagonista, perfetto alterego dell'autore, è un ex professore universitario decisamente misantropo e incline al cinismo, che un giorno conosce una ragazza e vede crollare tutte le sue certezze.
La sceneggiatura, scritta negli anni 70, contiene una miriade di auto-citazioni; inoltre il regista, fin dall'inizio del film, offre al pubblico esattamente ciò che il pubblico (o almeno quello più affezionato) si aspetta da lui. Come dice Mereghetti "è fin commovente il modo in cui Woody Allen gira intorno ai soliti temi e ripropone sempre lo stesso "stile", a cominciare da quei titoli di testa bianchi su fondo nero, con gli attori in rigoroso ordine alfabetico."
Commovente o irritante, a seconda dei punti di vista. A mio avviso entrambe le cose. Il buon vecchio Woody palesa il suo narcisismo e prende in giro gli spettatori, me inclusa, dimostrandone la sostanziale stupidità. Lo fa in modo indiretto, tramite i continui rimandi ai suoi altri film, appunto; ma lo fa anche esplicitamente, nella scena in cui il protagonista guarda la macchina da presa e interpella il pubblico, cercandone la complicità. Lo stesso giochino del personaggio che parla con lo sguardo in macchina è tutto fuorché innovativo.
Per concludere, è come se per novanta minuti Woody ti dicesse: "Ma guarda che idiota che sei, paghi per vedere sempre le solite cose, per sentire sempre le solite battute stantie che ho usato mille volte. Io so fare solo questo eppure tu continui a seguirmi". E tu, dal buio della sala, sai perfettamente che ha ragione lui e ti senti un idiota, in un certo senso. Eppure non puoi fare a meno di stare al gioco. Vieni deriso ma sei tu il primo a riderne. Sei la vittime di un carnefice geniale e diabolico, del quale però non puoi fare a meno.
Che straordinaria invenzione il cinema!
Iscriviti a:
Post (Atom)