sabato 26 dicembre 2009

Serious Man

Mid West, anni '60. Un professore di fisica, sposato e con due figli, vive una vita abbastanza monotona, ordinaria. E' un tipo tranquillo, senza tante pretese: il classico uomo qualunque. La sfiga però si accanisce su di lui e la sua vita va a pezzi. La moglie lo molla per un altro; i figli lo ignorano; uno studente coreano lo corrompe e lo minaccia in seguito di diffamazione; un vicino di casa taglia l'erba del suo prato. Alla fine ci si mette la salute che vacilla e l'uragano che incombe. Letteralmente travolto dai guai, il pover'uomo si rivolge durante il film a tre rabbini, ma con scarso successo: di fronte al mistero delle vita e a ciò che essa può avere in serbo per ognuno di noi, la fede conta ben poca cosa.
L'ultimo film dei Cohen, non si limita, come qualcuno ha scritto, a demolire l'illusione di una vita perfetta; ci racconta piuttosto di come la sfortuna possa talvolta inferocirsi contro un essere umano e non mollarlo mai, non dargli alcuna tregua. Se Woody Allen, nel suo Match Point, mette in scena la storia di un uomo colpevole di atroci crimini ma baciato dalla fortuna, i fratelli Cohen ribaltano il tutto mostrandoci un uomo senza alcuna colpa perseguitato però dalla sfortuna. Un uomo costretto ad accorgersi di "quante siano le cose che sfuggono al nostro controllo", citando sempre il film di Allen. E non è un caso se cito Woody: tale riferimento è giustificato anche dalla comune radice ebraica dei registi e dal fatto che in Serious Man, così come in molte opere alleniane, la solitudine, il caos e il vuoto di senso non possono essere in alcun modo modo alleviati dal ricorso alle tradizioni o alla fede.
Per concludere: il film in generale diverte, lasciando però molto amaro in bocca. E' diretto magistralmente e interpretato bene. Peccato risulti un po' troppo lungo e abbia un ritmo talvolta un po' fiacco.

mercoledì 23 dicembre 2009

Il petroliere

Per la serie "meglio tardi che mai"... Ho finalmente visto Il petroliere, violenta epopea sulla nascita del capitalismo americano.  La pellicola, da molti osannata, mi ha lasciato assai perplessa. Incentrato interamente sulla figura del petroliere Daniel Day Lewis, magnate illuminato che promette a tutti quanti progresso e ricchezza ma si trasforma in pazzo sanguinario, il film risulta superficiale nella definizione di tutto il resto. Non si capisce, ad esempio, il senso delle scene legate al giovane predicatore di paese che abbindola i fedeli: si vuol forse mostrare due modalità diverse di far leva sull'ignoranza della povera gente? Può essere, solo che la psicologia del ragazzo è tratteggiata piuttosto male. Non è chiara inoltre la natura del rapporto che lega il petroliere a suo figlio e ancor più ambigua è la figura del fratello. Nel film compaiono personaggi di cui non si comprende le ragioni profonde e questo onestamente disturba. Lo stesso protagonista è un personaggio senza troppe sfaccettature: si nota da subito la sua patologia ossessiva, ma non c'è molta gradualità nel processo che fa di questo uomo ossessionato dalla trivellazione un pazzo furioso capace di compiere azioni nefande. Per concludere: Daniel Day Lewis è bravissimo e il paesaggio affascina; la colonna sonora colpisce e lo stile registico è perfettamente coerente con la narrazione. L'attaccamento morboso della macchina da presa alla materia ci fa capire che nel mondo tratteggiato dal film conta solo ciò che è fisico, concreto. Il protagonista è costantemente seguito a distanza ravvicinata (viene in mente Visconti, che in Ossessione pedina passo passo il corpo di Girotti, quasi ne fosse perdutamente innamorato); inoltre la cinepresa è così affascinata dalla terra intrisa di bitume che riesce quasi a farcene sentire l'odore. Insomma, nel film non mancano gli elementi positivi. Qualcosa però non convince: ed è un vero peccato.

giovedì 17 dicembre 2009

State of play

Quando vedo un giallo o un thriller che mi entusiasma son sempre lieta di parlarne a giro. Questo è certamente uno di quei casi. Il film di Kevin Mcdonald, State of play, ben interpretato da un Russell Crow un po' imbolsito ma affascinante e da un Ben Affleck stranamente dotato di capacità attoriali (non immaginatevi chissà che, ma nel ruolo di politico è comunque dignitoso) è un thriller politico capace di coinvolgere e tenere in tensione. La sceneggiatura è valida e il colpo di scena finale lascia un certo amaro in bocca. Notevole anche la grande Elen Mirren.

sabato 12 dicembre 2009

The uninvited

In una grande casa in tipico stile americano alcune terrificanti presenze rendono la vita della giovane adolescente Anna  un vero e proprio inferno. La ragazza, appena uscita dall'ospedale psichiatrico in seguito a un incendio in cui è morta la madre, si ritrova a fare i conti con fantasmi e allucinazioni di ogni genere.
L'idea di fondo non è male, ma The uninvited, remake di un horror coreano, è realizzato in modo mediocre, con un cast di serie b e una colonna sonora che lascia a desiderare. Il finale, che pure potrebbe rendere l'opera interessante, è esageratamente calcato, come d'altronde un po' tutto il film.

venerdì 4 dicembre 2009

Nemico pubblico

Ha ragione Natalia Aspesi quando afferma che tutto sommato i gangster-movie sono un po' tutti uguali. Ce ne sono alcuni fatti molto bene, come Nemico Pubblico, ce ne sono altri che lasciano a desiderare, ma sovente si sa cosa aspettarsi sia dagli uni che dagli altri. L'originalità non è insomma il loro forte. Nemico Pubblico, come dicevo, è un classico gangster-movie: nulla di più e nulla di meno. Un film visivamente elegante e teso a un estremo realismo (i fanatici dell' adrenalina non potranno restarne delusi). Quello che manca nell'ultimo film di Michael Mann è l'approfondimento psicologico dei personaggi: a una confezione impeccabile purtroppo non corrisponde un contenuto altrettanto valido. Il film si guarda con piacere e Johnny Depp è veramente bravo. Però qualcosa non funzione fino in fondo.
Per concludere: ad una prima lettura della recensione di un cinefilo incolto ed insomma sul blog Il cinema secondo me credevo di dissentire, poi ripensandoci - il cinefilo incolto spero vorrà scusarmi - mi sono accorta che non è tanto vero.

giovedì 3 dicembre 2009

La prima linea

Iniziamo col dire che sono andata al cinema portando con me diversi pregiudizi su questo film: è un film italiano, quindi sarà fatto in stile fiction, gli attori saranno pietosi... e poi c'è Scamarcio: lui mi farà innervosire dopo i primi venti minuti.
Ebbene devo confessare che le cose non sono andate esattamente così. La prima linea è un film sugli anni di piombo che non aggiunge gran che a quanto è stato detto fino ad ora dai vari film sugli anni di piombo; però ha un buon ritmo, non eroicizza i terroristi e presenta un cast quasi dignitoso.  Scamarcio, nella sua più assoluta inespressività, sembra adatto a questo ruolo, sembra quasi un attore, mi verrebbe da dire.  L'opera di Renato De Maria non approfondisce affatto il contesto storico perché decide di concentrarsi sulla travagliata storia d'amore di due attivisti rivoluzionari: sacrifica gli aspetti socio-politici per narrare una vicenda privata; da questo punto di vista può apparire un film piuttosto superficiale, ma è pur vero che non si può approfondire tutto in due ore di film. Per concludere, a mio avviso è un film che si può vedere: non ti cambia la vita, non ti spinge più di tanto alla riflessione, ma quanto meno non ti fa venire voglia di punirti per essere andato al cinema a vederlo.