martedì 30 marzo 2010

The hurt locker

L'ultimo film di Kathryn Bigelow, che ha recentemente vinto l'oscar come miglior film, si distingue senza dubbio per un tratto: il minimalismo estremo. E' realismo allo stato puro. In un'epoca in cui si dispiega qualsiasi mezzo pur d'impressionare lo spettatore, la vittoria di un'opera come questa, realizzata in assoluta economia d'effetti speciali, desta un certo stupore.
Personalmente, proprio per allinearmi a un film tanto scabro ed essenziale, vorrei dilungarmi il meno possibile. Mi preme più che altro dire questo: trovo poco sensata l'accusa di militarismo o di cripto-fascismo, per citare Rampini, nei confronti della regista californiana, così come reputo un po' eccessivo far passare questo suo film per un'opera fortemente antimilitarista come ha detto Caprara.
The hurt locker ci mostra una squadra speciale di artificieri e sminatori americani sul fronte iracheno. La macchina da presa segue passo passo, a distanza di pochi centimetri, i corpi di questi giovani militari, e ce ne fa sentire il respiro. Noi soffriamo insieme a loro per la paura, e tiriamo con loro un sospiro di sollievo quando ci accorgiamo di poterlo fare. Sentiamo insieme a loro l'odore della sabbia che li circonda ovunque e vediamo il sudore sulle loro fronti, percepiamo il loro caldo atroce. Ci immedesimiamo in loro, è vero. Non potrebbe essere diversamente. Ma non per questo siamo indotti a vedere in loro degli eroi. Principalmente vediamo in loro degli esaltati, direi. Il messaggio più chiaro e lampante della Bigelow è questo: la guerra può diventare una droga.  La regista non scende nel merito, non fa questioni morali. Si limita ad analizzare un fatto. In modo asciutto, scabro, oggettivo. Il fatto - la dipendenza del protagonista dal fronte di guerra - di per sè agghiaccia, inorridisce. Ebbene si, The hurt locker , pur non prendendo una posizione esplicita netta, non può che inorridire. E forse questo basta.

venerdì 26 marzo 2010

Perché l'horror è indispensabile

Sono una cultrice del genere horror. Amo molto i thriller e i noir (da non confondersi con i gialli, che son ben altra cosa), ma forse l'horror è in assoluto il genere che prediligo. Lo ritengo indispensabile. Credo sia la  miglior difesa contro le atrocità del mondo. L'unico modo per elaborare, esorcizzare, gestire e incanalare le paure, è affidarsi a un buon horror. Questo, almeno, per quanto mi riguarda.
Qualcuno ritiene che esista una diretta connessione tra i fatti avvenuti negli anni '60 - guerra in Vietnam, assassioni di Kennedy, etc- e la prolificazione del genere orrorifico. Si pensi ai film di Wes Craven (L'ultima casa a sinistra, Le colline hanno gli occhi), a quelli sugli zombie di Romero (La notte dei morti viventi, Zombi, etc), oppure a certi capolavori di Cronemberg o De Palma. Personalmente non so quanto la teoria stia in piedi. So per certo, però, che guardando un film horror rincuora molto il potersi ripetere dentro di sé: "è solo un film". Meno rincuorante, invece, è vedere certe immagini e sapere di non potersi consolare con la medesima frase.

Eddie Adams, Word Press Photo, 1968

lunedì 22 marzo 2010

E' caduto.

Mi dispiace: più ci penso più mi rendo conto di conoscere solo citazioni pese, che abbiano la parola buonanotte. Io vorrei essere meno cupa, ma in effetti questa parola nei film è associata spesso a momenti non esattamente allegri. Ad ogni modo non fatevi strane idee: la buonanotte che vi auguro io è ben diversa da quella citata dal film della Bigelow. Insomma, la mia è una buonanotte vera.



E' caduto. Buonanotte, grazie per avere giocato.

The hurt locker

venerdì 19 marzo 2010

Shutter island, dramma personale e ferita corale

"Dovevi salvarmi, dovevi salvarci tutti". Sono queste le parole che tormentano Teddy, il protagonista di Shutter Island. Ogni volta che lui si addormenta queste parole tornano ad ossessionarlo. "Perché non ci hai salvati?"
Siamo a metà degli anni '50. Teddy Daniels è un agente dell'FBI, ma è anche un reduce di guerra, uno di quelli che ha partecipato alla liberazione di Dachau. Recatosi insieme ad un collega in un manicomio, su un'isola a largo di Boston, per indagare sulla scomparsa di una paziente, Teddy sembra esser pronto a tutto pur di conoscere la verità. Qualcosa però lo turba: di notte fa sogni angoscianti e spesso ha delle tremende allucinazioni. Con lo scorrere del tempo il giovane agente si convince che in quel manicomio si compiano inquietanti esperimenti sui pazienti. Ma sarà vero o farà tutto parte di una sua allucinazione? Ovviamente svelare il finale sarebbe da sadici, per cui vi lascerò nel dubbio. Quel che posso dirvi, però, è che l'ultimo film di Martin Scorzese è un buon film. Ha un gran cast e una bellissima fotografia. Non offre nulla di particolarmente innovativo, ma sa tenere lo spettatore incollato alla sedia. In bilico tra thriller spicologico-politico, e melodramma gotico-psichiatrico, il film "scopiazza" un po' dall'espressionismo tedesco e un po' dall'orror anni '40, strizzando infine un occhio a un classicone hitchockiano come Io ti salverò. Se da un lato mi sento di condividere quanto scritto da Mereghetti, cioè che il film è ben lontano dal coraggio di sperimentare e di rischiare, trovo si debba riconoscere a quest'opera un indubbio merito, quello di far riflettere sulle atroci ferite che accompagnano da oltre un secolo l'umanità.

lunedì 15 marzo 2010

La doppia ora

La doppia ora, di Capotondi, è un film che affascina: saranno le atmosfere intriganti, i due attori, davvero molto bravi, il buon equilibrio tra la componente "brivido" e l'aspetto invece più intimista. La sceneggiatura ha qualche pecca, a dirla tutta. Il film manca un po' in omogeneità, esagera nel voler colpire a tutti i costi e presenta coincidenze un po' discutibili. Però il mix funziona: tiene in tensione ed è molto elegante.

giovedì 11 marzo 2010

Alice nel paese delle meraviglie

Il mio libro preferito, insieme a Il ritratto di Dorian Gray, è senza ombra di dubbio Alice nel paese delle meraviglie. Anzi, la coppia Alice nel paese delle meraviglie e Attraverso lo specchio. L'ho letti da piccola e ne son rimasta colpitissima. L'ho riletti da adulta e ho capito che erano i MIEI libri. Ho capito che quella narrata da Lewis Carroll non era solo un storia che mi piaceva. Era una storia che mi serviva. 
Adesso vi starete domandando il perché di questa premessa. Ebbene, la premessa mi aiuta a spiegarvi quanto sia difficile per me valutare un film come l'ultima opera di Burton. Essere tanto affezionati a un romanzo può incasinare parecchio le cose quando ci si sforza di dare un giudizio più o meno obiettivo su una sua trasposizione. Tim Burton ha "stravolto" da capo a piedi una colonna portante della mia crescita, tanto per capirsi. Non si è confrontato con un libro qualunque. Ha "rubato" il mio. Lo ha "rubato" per poi "stravolgerlo".
Ha preso la storia di una bimbetta ingenua che finisce nel mondo del non-sense e l'ha trasformata in quella di una giovane donna che deve sconfiggere un drago per trovare se stessa e capire cosa vuole dalla vita. Smorzando parecchio la componente ludico-surreale propria dell'opera di Carroll, il regista statunitense ha reso Alice una sorta di film fantasy che è anche "romanzo di formazione". Nel far questo ha tramutato lo stregatto, originariamente un po' "infido e bastardo", in un simpatico e affettuoso micione che appare e scompare; ha preso il cappellaio matto e lo ha rivisitato in chiave decisamente romantica; ha aggiunto personaggi inesistenti e ha condito il tutto con toni vagamente dark-gotici (siamo comunque ben lontani dal classico stile dark alla Burton).
Insomma, come capirete la rivisitazione è bella forte. Fin qui nulla di male: basta superare lo straniamento iniziale, provare a svincolarsi dal classico atteggiamento da "fanatico dell'opera originale". Il problema è un altro: il risultato finale lascia interdetti. Non si capisce dove voglia andare a parare. Per lo meno, io credo di non averlo compreso. Qualcuno che era al cinema con me ha commentato: "è una commercialata, Burton non doveva tornare alla Disney".
Francamente mi pare sbrigativo vederla così. Se Burton ha rivisitato in questo modo i due libri di Carroll son convinta che lo abbia fatto per motivi diversi dal botteghino. Son convinta che ci abbia creduto, che abbia voluto aggiungere qualcosa ai due romanzi, dandone una sua chiave di lettura. Mi spiace però non aver afferrato quale sia la chiave.

Augurate la buonanotte al cattivo

Sono stata a vedere Alice, ma stasera non ve ne parlo. Devo ancora capire se mi sia piaciuto o meno, se sia un film cattivo oppure no.
Cattivo... com'è difficile definire chi/cosa è cattivo e chi/cosa no... Oscar Wilde diceva che non esistono i buoni e i cattivi ma solo le persone piacevoli e quelle spiacevoli, se ricordo bene. Voi che ne pensate? Si può applicare anche a un film questa regola?
Stasera mi va di salutarvi con questo interrogativo.
Buonanotte affezionati lettori: fate sogni d'oro e augurate la buonanotte al cattivo. Sempre che riusciate a riconoscerlo.


Che avete da guardare? Siete solo una manica di coglioni. Sapete perché? Perché non avete il fegato per stare dove vorreste stare. Voi avete bisogno di gente come me. Vi serve la gente come me, così potete puntare il vostro dito del ca**o e dire Quello è un uomo cattivo. Beh? E dopo come vi sentite, buoni? Voi non siete buoni. Sapete solo nascondervi, solo dire bugie. Io non ho questo problema. Io dico sempre la verità, anche quando dico le bugie. Coraggio, augurate la buona notte al cattivo, coraggio. È l'ultima volta che lo vedete un cattivo come me, ve lo dico io. Forza, fate passare l'uomo cattivo. Attenti sta arrivando il cattivo

Scarface

domenica 7 marzo 2010

Per la serie "S'è fatta 'na certa..."

Tempo fa avevo un forum. Lo gestivo con alcuni amici. Poi ci siamo stufati e lo abbiamo chiuso. Una delle cose che mi divertivano di più in quel forum era scrivere nel topic cosidetto "dei nottambuli" (ci si poteva scrivere solo dopo la mezzanotte) e dare la buonanotte ad amici e lettori vari. Ogni sera cercavo di inventarmi modi diversi e originali per dire buonanotte. 
Ebbene, ho pensato che potrei farlo anche qui. Non tutte le sere, sia chiaro. Solo qualche volta.

Casomai non vi rivedessi, buon pomeriggio, buonasera e buonanotte!  The Truman Show

venerdì 5 marzo 2010

Invictus, provare a scrivere una recensione a modino

Devo scrivere una recensione. Ma questa volta non una recensione qualunque. Una recensione da consegnare a Claudio Carabba - ebbene si, avete capito bene - il prossimo giovedì mattina. Sto partecipando, infatti, a un laboratorio universitario curato da lui e come compito a casa ho da recensire un film a mia scelta uscito di recente. Inutile dire che la cosa mi mette vagamente in soggezione: un conto è scribacchiare qualche commento su un blog letto da tre gatti, un conto è scrivere una pagina da far valutare a un critico di quelli seri, di quelli che di cinema ne sanno un casino, per intendersi.
Ad ogni modo, niente panico, so che posso farcela. Il film ce l'ho, e questo è già molto. Ho decisodi parlare di Invictus, film che peraltro non mi ha esattamente convinto. Quello che ancora non ho è il testo.
Ebbene, cosa si può dire su Invictus? L'ultimo film di Clint Eastwood racconda come, a metà degli anni '90, il presidente Nelson Mandela, appena uscito dal carcere, abbia fatto del rugby uno strumento di pace, di costruzione di un'identità nazionale.
Film in in bilico tra il biografico e lo sportivo, Invictus costruisce una vera e propria agiografia del personaggio di Mandela: malgrado questi venga definito "non un santo, ma un uomo con i problemi di un uomo", durante le oltre due ore di film Estawood a mala accenna a quei problemi di uomo. Preferisce concentrarsi sulla levatura morale del presidente, sulla sua intelligenza e soprattutto sulla sua straordinaria umanità. Purtroppo questa scelta svilisce parecchio il film, appiattendolo sul fronte narrativo. Le sequenze sportive son belle e emozionanti, degne di un gran regista; Morgan Freeman nei panni di Mandela ha  molto carisma, questo è indubbio. Qualcosa però non convince: il film non ha lo spessore ed il fascino di altri grandi capolavori come  Mystic River o Million Dollar Baby.
Che dite, missione compiuta?

mercoledì 3 marzo 2010

La rivolta delle ex

E' alto, prestante, bello. Però è pure un po' stronzo. Anzi parecchio. Un bel giorno si ritrova a fare i conti con i fantasmi di tutte le donne che ha ferito e diventa così un uomo nuovo. Si redime, insomma.
Commedia scontatissima, noisosa e sostanzialmente, come diversi critici hanno notato, piuttosto reazionaria. Da evitare, anche nelle domeniche piovose.