sabato 26 dicembre 2009

Serious Man

Mid West, anni '60. Un professore di fisica, sposato e con due figli, vive una vita abbastanza monotona, ordinaria. E' un tipo tranquillo, senza tante pretese: il classico uomo qualunque. La sfiga però si accanisce su di lui e la sua vita va a pezzi. La moglie lo molla per un altro; i figli lo ignorano; uno studente coreano lo corrompe e lo minaccia in seguito di diffamazione; un vicino di casa taglia l'erba del suo prato. Alla fine ci si mette la salute che vacilla e l'uragano che incombe. Letteralmente travolto dai guai, il pover'uomo si rivolge durante il film a tre rabbini, ma con scarso successo: di fronte al mistero delle vita e a ciò che essa può avere in serbo per ognuno di noi, la fede conta ben poca cosa.
L'ultimo film dei Cohen, non si limita, come qualcuno ha scritto, a demolire l'illusione di una vita perfetta; ci racconta piuttosto di come la sfortuna possa talvolta inferocirsi contro un essere umano e non mollarlo mai, non dargli alcuna tregua. Se Woody Allen, nel suo Match Point, mette in scena la storia di un uomo colpevole di atroci crimini ma baciato dalla fortuna, i fratelli Cohen ribaltano il tutto mostrandoci un uomo senza alcuna colpa perseguitato però dalla sfortuna. Un uomo costretto ad accorgersi di "quante siano le cose che sfuggono al nostro controllo", citando sempre il film di Allen. E non è un caso se cito Woody: tale riferimento è giustificato anche dalla comune radice ebraica dei registi e dal fatto che in Serious Man, così come in molte opere alleniane, la solitudine, il caos e il vuoto di senso non possono essere in alcun modo modo alleviati dal ricorso alle tradizioni o alla fede.
Per concludere: il film in generale diverte, lasciando però molto amaro in bocca. E' diretto magistralmente e interpretato bene. Peccato risulti un po' troppo lungo e abbia un ritmo talvolta un po' fiacco.

mercoledì 23 dicembre 2009

Il petroliere

Per la serie "meglio tardi che mai"... Ho finalmente visto Il petroliere, violenta epopea sulla nascita del capitalismo americano.  La pellicola, da molti osannata, mi ha lasciato assai perplessa. Incentrato interamente sulla figura del petroliere Daniel Day Lewis, magnate illuminato che promette a tutti quanti progresso e ricchezza ma si trasforma in pazzo sanguinario, il film risulta superficiale nella definizione di tutto il resto. Non si capisce, ad esempio, il senso delle scene legate al giovane predicatore di paese che abbindola i fedeli: si vuol forse mostrare due modalità diverse di far leva sull'ignoranza della povera gente? Può essere, solo che la psicologia del ragazzo è tratteggiata piuttosto male. Non è chiara inoltre la natura del rapporto che lega il petroliere a suo figlio e ancor più ambigua è la figura del fratello. Nel film compaiono personaggi di cui non si comprende le ragioni profonde e questo onestamente disturba. Lo stesso protagonista è un personaggio senza troppe sfaccettature: si nota da subito la sua patologia ossessiva, ma non c'è molta gradualità nel processo che fa di questo uomo ossessionato dalla trivellazione un pazzo furioso capace di compiere azioni nefande. Per concludere: Daniel Day Lewis è bravissimo e il paesaggio affascina; la colonna sonora colpisce e lo stile registico è perfettamente coerente con la narrazione. L'attaccamento morboso della macchina da presa alla materia ci fa capire che nel mondo tratteggiato dal film conta solo ciò che è fisico, concreto. Il protagonista è costantemente seguito a distanza ravvicinata (viene in mente Visconti, che in Ossessione pedina passo passo il corpo di Girotti, quasi ne fosse perdutamente innamorato); inoltre la cinepresa è così affascinata dalla terra intrisa di bitume che riesce quasi a farcene sentire l'odore. Insomma, nel film non mancano gli elementi positivi. Qualcosa però non convince: ed è un vero peccato.

giovedì 17 dicembre 2009

State of play

Quando vedo un giallo o un thriller che mi entusiasma son sempre lieta di parlarne a giro. Questo è certamente uno di quei casi. Il film di Kevin Mcdonald, State of play, ben interpretato da un Russell Crow un po' imbolsito ma affascinante e da un Ben Affleck stranamente dotato di capacità attoriali (non immaginatevi chissà che, ma nel ruolo di politico è comunque dignitoso) è un thriller politico capace di coinvolgere e tenere in tensione. La sceneggiatura è valida e il colpo di scena finale lascia un certo amaro in bocca. Notevole anche la grande Elen Mirren.

sabato 12 dicembre 2009

The uninvited

In una grande casa in tipico stile americano alcune terrificanti presenze rendono la vita della giovane adolescente Anna  un vero e proprio inferno. La ragazza, appena uscita dall'ospedale psichiatrico in seguito a un incendio in cui è morta la madre, si ritrova a fare i conti con fantasmi e allucinazioni di ogni genere.
L'idea di fondo non è male, ma The uninvited, remake di un horror coreano, è realizzato in modo mediocre, con un cast di serie b e una colonna sonora che lascia a desiderare. Il finale, che pure potrebbe rendere l'opera interessante, è esageratamente calcato, come d'altronde un po' tutto il film.

venerdì 4 dicembre 2009

Nemico pubblico

Ha ragione Natalia Aspesi quando afferma che tutto sommato i gangster-movie sono un po' tutti uguali. Ce ne sono alcuni fatti molto bene, come Nemico Pubblico, ce ne sono altri che lasciano a desiderare, ma sovente si sa cosa aspettarsi sia dagli uni che dagli altri. L'originalità non è insomma il loro forte. Nemico Pubblico, come dicevo, è un classico gangster-movie: nulla di più e nulla di meno. Un film visivamente elegante e teso a un estremo realismo (i fanatici dell' adrenalina non potranno restarne delusi). Quello che manca nell'ultimo film di Michael Mann è l'approfondimento psicologico dei personaggi: a una confezione impeccabile purtroppo non corrisponde un contenuto altrettanto valido. Il film si guarda con piacere e Johnny Depp è veramente bravo. Però qualcosa non funzione fino in fondo.
Per concludere: ad una prima lettura della recensione di un cinefilo incolto ed insomma sul blog Il cinema secondo me credevo di dissentire, poi ripensandoci - il cinefilo incolto spero vorrà scusarmi - mi sono accorta che non è tanto vero.

giovedì 3 dicembre 2009

La prima linea

Iniziamo col dire che sono andata al cinema portando con me diversi pregiudizi su questo film: è un film italiano, quindi sarà fatto in stile fiction, gli attori saranno pietosi... e poi c'è Scamarcio: lui mi farà innervosire dopo i primi venti minuti.
Ebbene devo confessare che le cose non sono andate esattamente così. La prima linea è un film sugli anni di piombo che non aggiunge gran che a quanto è stato detto fino ad ora dai vari film sugli anni di piombo; però ha un buon ritmo, non eroicizza i terroristi e presenta un cast quasi dignitoso.  Scamarcio, nella sua più assoluta inespressività, sembra adatto a questo ruolo, sembra quasi un attore, mi verrebbe da dire.  L'opera di Renato De Maria non approfondisce affatto il contesto storico perché decide di concentrarsi sulla travagliata storia d'amore di due attivisti rivoluzionari: sacrifica gli aspetti socio-politici per narrare una vicenda privata; da questo punto di vista può apparire un film piuttosto superficiale, ma è pur vero che non si può approfondire tutto in due ore di film. Per concludere, a mio avviso è un film che si può vedere: non ti cambia la vita, non ti spinge più di tanto alla riflessione, ma quanto meno non ti fa venire voglia di punirti per essere andato al cinema a vederlo.

sabato 28 novembre 2009

L'onda

In Germania un giovane insegnante di educazione fisica con un passato da anarchico coinvolge i suoi studenti in un esperimento con la finalità di spiegare loro cosa significhi governo autocratico. Per una settimana gli studenti dovranno sottostare ad una disciplina piuttosto rigida,  indossare una divisa e soprattutto lavorare in un'ottica di organismo gerarchico ed unitario. Eventuali contestatori dovranno essere allontanati. Nel giro di pochi giorni l'insegnante perde il controllo della situazione e quello che doveva essere un semplice esperimento didattico diventa un drammatico esempio di vero e proprio regime. I ragazzi imparano ad affrontare le loro insicurezze, scoprono il cameratismo ma diventano pericolosamente violenti, anche al di fuori della scuola.
Tratto da una storia vera il film ha un suo fascino e sa indubbiamente tenere in tensione, anche se il finale melodrammatico gli fa perdere qualche punto.

venerdì 27 novembre 2009

In viaggio con Vaccari

Quando mi capita di fare un viaggio in macchina, anche non necessariamente lunghissimo, penso spesso a 700 km di esposizione, di Franco Vaccari. Una lunga fila di mezzi di trasporto merci per rappresentare il tempo che passa, le tappe che vengono percorse; una fila di mezzi apparentemente anonimi, bruttini, che ci aiutano a porre l'attenzione sul tragitto più che sulla mèta. Perché la mèta ha la sua importanza, sia chiaro, ma non è tutto. Nella vita talvolta bisogna anche arrivare da qualche parte, raggiungere un qualche obiettivo, qualunque esso sia. Diffidate di chi dice che conta solo il viaggio, la ricerca. Pensate a uno che sta due giorni nel deserto e cerca l'acqua ma non la trova: voi che dite, gli interesserà di più l'obiettivo finale o la ricerca in quanto tale?  
Be', detto questo c'è da valutare anche l'altra faccia della medaglia: la strada fatta per arrivare in un posto spesso non è meno importante della destinazione finale e il percorso realizzato per raggiungere un obiettivo non è meno importante dell'obiettivo stesso. O meglio, diciamo che dipende dai casi, appunto. Ad ogni modo, alle volte, è bello dimenticare la mèta e concentrarsi sul tragitto.

 700 km di esposizione, 1972


domenica 22 novembre 2009

Lucca Digital Photo Fest, cosa merita e cosa no

Ieri, come vi avevo accennato giorni fa, sono stata a Lucca, per il Digital Photo Fest. La giornata è stata bellissima e stimolante, ma molto faticosa, a onor del vero. Visitare tante mostre diverse in un solo giorno richiede energie non soltanto fisiche ma soprattutto mentali. Le mostre dislocate nella città sono in tutto venti: è chiaro quindi che se uno vuole vederle tutte deve prendersi almeno due giorni. In una sola giornata è comunque possibile vederne una buona parte, ma a mio avviso occorre selezionare e dare priorità alle cose veramente valide. Perché diciamocelo, ci sono anche opere un po' inutili. Io ieri non ho visto proprio tutto, ma quasi. Personalmente, ci tornassi domani, vedrei senza dubbio queste cose qui:
  • la mostra di Avedon, semplicemente splendida. Uno dei più grandi fotografi di moda è riuscito nel 1995, a circa settant'anni, a realizzare un ciclo di foto surreali che vedono la comprensenza di una modella tutta lustrini e fronzoli e di uno scheletro. Avedon sembra qui voler quasi sbeffeggiare-accusare il mondo in cui lui stesso per anni ha lavorato, ricordandoci in modo dissacrante il trionfo della morte su tutte le cose e la natura illusoria di quell'eterna giovinezza propostaci dalla moda. Oltre a questo bel ciclo di lavori compiuti in tarda età la mostra presenta anche una ventina di scatti "classici", tra i suoi più famosi.  Circa 40, in tutto, le foto esposte
  • il Word Press Photo, rassegna imperdibile delle 62 foto premiate quest'anno al celebre concorso di fotogiornalismo. World Press Photo è un'organizzazione olandese indipendente e senza scopo di lucro. Dal 1955, anno della sua fondazione, ad oggi, tale organizzazione si è fatta promotrice del più grande e prestigioso concorso annuale di fotogiornalismo al mondo. 
  • Estasi e memorie: nuovi 'scrolls', antologica 1960-2005, insieme di opere del giapponese Eikoh Hosoe, stampate su una carta piuttosto particolare (l'esposizione mi ha lasciato perplessa ma senza dubbio va vista, anche solo per confrontarsi con una cultura altra) 
  • la mostra, interamente in bianco e nero, su Cuba, di Ernesto Bazan, cinquantenne siciliano che a Cuba ha vissuto per anni: le foto di reportage si mescolano qui a foto più personali, che ritraggono la sua famiglia. Il tutto senza dubbio merita, ma richiede tempo, poiché i lavori esposti sono 118. 
  • l'esposizione dell'artista fiorentino Giacono Costa, dal titolo Natura Morta: una serie di grandi immagini a colori, realizzate per buona parte al pc, dove la natura vince sull'uomo, riprendodosi quegli spazi che fino ad ora la civiltà le ha ingiustamente portato via. (sconsiglia la visione ai duri e puri della fotografia classica)
  • la mostra di Maïmouna Patrizia Guerresi, Asilo polittico: pochissimi scatti, caratterizzati da soggetti grandi e contrasti cromatici forti. Una rappresentazione del mondo musulmano senza dubbio particolare e affascinante (interessante il fatto che i corpi di questi soggetti siano  "svuotati" e coperti da enormi manti colorati).
  • Schermo nero, notti bianche. Un viaggio nel cinema italiano. La bella mostra in bianco e nero di Claude Nori è perfetta per tutti gli amanti del cinema. Anzi, direi quasi imperdibile!
  • Camera oscura, esperimento suggestivo del duo Francesco Tommasi e Davide Regoli.
Probabilmente mi risparmierei invece la stanza dedicata a Nancy Fina (fotografa di moda) e le videoinstallazioni di Debora Vrizzi e Lucille Vrignaud, che onestamente ti fanno commentare: "si, e allora?"

Questo è quanto.

venerdì 20 novembre 2009

Lucca Digital Photo Fest

Lucca Digital Photo Fest
Per gli amanti dell'arte visiva credo sia un evento imperdibile. Personalmente non ci sono mai stata, e me ne vergogno quasi un po'. Domani finalmente rimedierò. Poi magari vi farò sapere se ne è valsa la pena o meno.

domenica 15 novembre 2009

Non si finisce mai d'imparare...

Ieri sera ho giocato a Trivial Pursuit. A un certo punto la squadra avversaria si è beccata la seguente domanda: quale film di Hitchcock è girato in tempo reale? "Cavolo, ma è Nodo alla gola!", mi son detta io tra me e me. Poi ho letto la risposta: c'era scritto Cocktail per un cadavere. Non immaginate la mia delusione...
Ebbene, poche ore dopo, con una certa soddisfazione, ho scoperto via internet che si tratta del medesimo film, distribuito con due nomi diversi.  Un vero e proprio classicone della cinematografia hitchcockiana. Un film del 1948, che ha avuto due straordinari meriti: essere girato in tempo reale (anche se comunque qualche taglio di montaggio ce l'ha, per cui non è proprio esatto dire girato in tempo reale) e mostrare per la prima volta sullo schermo una coppia gay. Sia chiaro: l'omosessualità dei protagonisti non è esattamente esplicita, ma comunque traspare, e per essere un film del '48...
Vabbe', ho capito, non vi tedio più. Faccio festa, promesso. Statemi bene e guardatevi Nodo alla gola, se ancora non lo avete mai fatto.

giovedì 12 novembre 2009

Il nastro bianco

"Non c'è niente da fare, Michael Haneke è un regista che sa come disturbare la mente dei suoi spettatori. Da buon studioso di Freud, sa che l'orrore non necessariamente va fatto vedere (come nei suoi "due" precedenti Funny Games ), basta lasciarlo aleggiare, coltivarlo in vitro, darne presagio ed egli darà comunque i suoi frutti." Così inizia la recensione de Il nastro bianco, a cura di Roberta Ronconi.
Peccato di non poter condividere tale osservazione, almeno per quanto riguarda l'ultima opera del regista austriaco, che è appunto Il nastro bianco.
Tralasciando infatti l'aspetto del contenuto, del messaggio che si suppone Haneke voglia mandare (vi consiglio a tal proposito la recensione di Paolo Mereghetti sul Corriere della sera, Rassegna stampa Il nastro bianco ), la prima osservazione che mi viene da fare è questa: il principale difetto della pellicola è proprio la sua incapacità di disturbare.
Il film racconta le vicende di un villaggio nella Germania degli anni '10. Un paesino di campagna dove la violenza pervade ogni cosa. Visivamente è bellissimo, ma emotivamente parlando non lascia niente. Non c'è una sola immagine che disturbi, che ferisca lo spettatore, che faccia aleggiare quell'orrore di cui parla la Ronconi.
La mente umana si può disturbarla attraverso ciò che le si mostra o attraverso ciò che le si nasconde, come osserva intelligentemente la giornalista. Penso a una splendida scena di Amen, film di Costa Gavras, in cui l'atrocità delle camere a gas non viene mai palesata; lo spettatore, innanzi a una porta chiusa, può soltanto intuire quanto stia accadendo al di là. Non vede nulla (solo il protagonista può avvicinarsi allo spioncino della porta, la macchina da presa non ci si avvicina mai), ma immagina tutto. E questo basta. Penso ancora al bellissimo Funny games, di Haneke, appunto, dove la violenza psicologica supera di gran lunga quella fisica, concretamente mostrata sullo schermo.
Purtroppo Il nastro bianco non riesce a creare effetti similari: non colpisce veramente né con quello che fa vedere né con quello che nasconde. Scene che dovrebbero essere drammatiche risultano grottesche, talvolta quasi comiche. La freddezza estrema della narrazione impedisce qualsiasi coinvolgimento e alcune situazioni sono esasperate al punto tale da apparire innaturali.
Insomma, non so voi, ma io son rimasta piuttosto delusa: mi aspettavo di esser "torturata" e invece son rimasta impassibile (anzi, per poco in certi momenti non mi è venuto da ridere).

mercoledì 11 novembre 2009

Quanta ignoranza nei fiorentini!

Non ho la pretesa di conoscere gli spettatori cinematografici di tutta la penisola,  ma in quanto assidua frequentatrice delle sale fiorentine, mi sento di poter dire due parole almeno sul pubblico di questa città. Mi è capitato di frequente, infatti, di assistere a scene molto drammatiche, o magari un po' forti, legate non necessariamente a sesso spinto, ma alla sfera della seduzione, e di notare nel pubblico attorno a me reazioni inaspettate: decisa ilarità, mugolio incontrollato, irritante chiacchiericcio; talvolta si arriva al chiasso da stadio. La cosa mi ha sempre lasciato perplessa e direi pure un po' amareggiata-infastidita. Tu sei al cinema davanti a un film pesissimo e la gente nella sala si schianta dal ridere. C'è una scena di sesso un po' diversa da quelle classiche e il pubblico va in delirio: risate, colpi di tosse, commenti a voce alta, schiamazzi più o meno eclatanti. Tu stai lì, sulla tua seggiolina, e ti dici fra te e te: "Ma che cazzo avranno da ridere?! Ma che cazzo ci sarà da mugolare?!"
Insomma, cosa spinge al chiacchiriccio incontrollato, alla risata isterica o peggio ancora alla cagnara più volgare? La gente fraintende il senso delle immagini che ha davanti? Forse non sa gestire il proprio imbarazzo? Reagisce alle emozioni sulle quali sente di avere scarso controllo? Com'è che il pubblico sembra regredire all'età puerile di fronte a certe tematiche? Onestamente non ho risposte da dare, ma temo che alla base ci sia un grosso problema di ignoranza, di grettezza, mi verrebbe da dire. Non credo che il pubblico confonda dramma e commedia. Credo piuttosto che, pur consapevole della pesantezza di quello che sta vedendo, fatichi a gestire le emozioni che il dramma tavolta suscita. Credo che si rifiuti di approfondire la natura di quelle emozioni e che quindi si difenda con il riso o con il commento più o meno inappropriato. 
Il problema, per concludere, non è l'ignoranza intensa come mancanza di conoscenza; è l'ignoranza nel senso più ampio del termine, cioè come mancata volontà di conoscere, di scoprire, di approfondire. Di mettersi in discusione, in due parole. L'ignoranza più pericolsa, a mio avviso, deriva sempre dalla chiusura mentale; da questo punto di vista la platea fiorentina sembra messa veramente maluccio.

domenica 8 novembre 2009

La vita segreta delle parole

Volevo scrivere un post sulle dinamiche inquietanti che s'innescano al cinema, davanti a certi film. La grezzezza del pubblico fiorentino (su quello di altre località non posso esprimermi) merita senza dubbio una riflessione, ma credo che per adesso rimanderò.
Mi preme infatti parlarvi di un film del 2006, che ho visto ieri sera. Un'opera di una regista spagnola, Isabel Coixet, interpretata da Tim Robbins e Sarah Polley. Ieri sera, a fine film, ero interdetta; poi ho fatto sedimentare le emozioni e mi son convinta: "cazzarola che bel film!"
La vita segreta della parole si svolge in un luogo particolare, una piattaforma petrolifera in mezzo all'oceano: uno di quei non- luoghi dove l'isolamento può lacerare e distruggere, ma anche unire, far in qualche modo da collante.
Lui, Tim Robbins, è un uomo di mezz'età, gravemente ustionato e che non può vedere niente: un personaggio che ha fatto dell'ironia la sua arma di salvezza per affrontare il dramma interiore, quello che veramente brucia e che è legato a un tragico episodio del passato. Lei, Sara Polley, è una giovane infermiera con un problema di udito. Parla pochissimo, a bassa voce, comunica con gesti freddi, e non sorride mai. La giovane donna porta infatti dentro di se le ferite sesquipedali di una guerra, quella dei Balcani, che ha provocato milioni di morti e tanti reduci destinati alla disperazione eterna.
Sono entrambi dei sopravvissuti insomma, ed entrambi provano infinita vergogna: lui fa i conti con un doloroso passato privato; lei fa i conti con le atrocità di una guerra, fatto pubblico, che tutti cercano di dimenticare. Quando le loro solitudini si incontrano, quando l'intimità a poco a poco spezza il muro del silenzio, l'emozione è fortissima e il dramma viene trattato con una delicatezza e una sobrietà che impressionano. Non si sfiora mai la retorica, il gusto per il drammone o per la lacrima facile. Tutto è essenziale, asciutto e meravigliosamente vero.  Il film qualche difetto ce l'ha, a dirla tutta, ma onestamente gli si perdona, perché trattare un tema tanto tragico con un tocco così azzeccato è veramente degno di nota. Bella la scelta delle immagini un po' sporche, grigiognole, volutamente tristi. Poetica la figuara del cuoco, interpretato da Javier Camara, che tramite i suoi manicaretti cerca di restituire alla ragazza quella gioia di vivere che tante atrocità sono riuscite a soffocare.
Per concludere, un'osservazione: è quasi paradossale che un film per buona parte basato sui dialoghi, cambi del tutto registro in seguito a un fatto che con le parole ha poco a che vedere. Il vero fulcro del film è legato a un gesto tattile: quando il protagonista tocca con le sue mani le cicatrici della donna, "quello che sembrava fino ad allora un film su un mondo di solitudini private diventa un film su una storia pubblica di sofferenze e di crudeltà, dove le persone portano sulla pelle i segni della brutalità umana", come dice Paolo Mereghetti.

giovedì 5 novembre 2009

Parnassus - L'uomo che voleva ingannare il diavolo

Il talento visionario di Terry Gilliam non passa mai inosservato. Pochi, oltre lui, riescono a ricordarci quel  mondo straordinario dove Melies, a inizio novecento, era solito catapultare il suo pubblico. Pochi, oltre lui, sanno sfruttare al meglio il fascino immaginifico della settima arte: la surrealtà, lo sguardo grottesco, talvolta allucinato e allucinatorio... la fantasia senza limiti e inibizioni. Figurativamente, insomma, questo suo ultimo film è meraviglioso: un trionfo di luci, figure, colori, immagini provenienti dai mondi più assurdi. Un ennesimo omaggio alla potenza salvifica della fantasia.
Eppure qualcosa manca: si esce dalla sala un po' interdetti. Forse la psicologia dei personaggi lascia a desiderare; forse il ritmo non è all'altezza di un film che dura oltre due ore; forse manca l'omogeneità fra le parti. Forse sono vere tutte e tre queste cose. Fatto sta che Parnassus ha un gran potenziale, non del tutto espresso.
Peccato, perché il cast è favoloso e la poesia delle immagini non manca.

sabato 31 ottobre 2009

Inizia il festival dei popoli

Vorrei segnalare che dal primo di novembre fino al giorno 7 si terrà, a Firenze, la cinquantesima edizione del festival del cinema documentario chiamato Festival dei Popoli. Se qualcuno volesse farci un salto... io credo ne varrà la pena.
Per ulteriori info vi rimando al sito: Festival dei Popoli

giovedì 29 ottobre 2009

Bastardi senza gloria

Recentemente Tarantino mi annoiava un po'. Mi pareva che - citazioni da B-movie a parte - non avesse più molto da dire. In tutta sincerità mi sembrava che ormai la gente dovesse dire di apprezzare Tarantino quasi più per principio, non perché realmente Tarantino meritasse molto di essere apprezzato. Ecco, il suo ultimo film mi ha fatto veramente ricredere, perché è divertente, cattivo quanto basta e soprattutto affascinante, capace di incollare alla sedia per oltre due ore. Un vero filmone, non una semplice accozzaglia di rimandi cinefili che sembra divertire molto l'autore ma un po' meno il pubblico. Una volta tanto Tarantino non imperversa con le sue solite ormai noiose citazioni e offre qualcosa che va oltre. Non che qui vengano meno i rimandi al cinema, sia chiaro, però si nota la volontà di non fermarsi al livello della parodia. La sequanza iniziale è meravigliosa. Solo quella basterebbe per dire che siamo di fronte a un gran film. Notevole il cast e la scelta della colonna sonora.

martedì 27 ottobre 2009

Viola di mare

All'uscita del cinema ero perplessa. Poi ci ho riflettuto. E ho capito.
Ci sono due cose valide nel film di Donatella Maiorca: la fotografia e la recitazione delle due protagoniste, nonché di Ennio Fantastichini. Il resto francamente traballa, non convince: la psicologia dei personaggi è veramente piuttosto abbozzata, la messinscena non è omogenea... perfino la passione tra le due donne non riesce a fare presa, è come se certe immagini fossero poco naturali, troppo impostate.
Il film, come dice giustamente Davide Turrini "senza il chiacchierare pre e post proiezione sul tema "lesbico" che si avviluppa sui corpi delle protagoniste Valeria Solarino e Isabella Ragonese, avrebbe ben poco da mostrare".  Per concludere, il solo fatto di avare un tema forte - una vicenda di amore impossibile nella Sicilia di fine ottocento - non basta a sostenere un film deboluccio.

mercoledì 21 ottobre 2009

Burn after reading

Lo so, la tempestività non è esattamente il mio forte. Un blogger di cinema come si deve recensirebbe i film appena dopo la loro uscita, non con oltre un anno di ritardo. Io però, non avendo mai affermato di rientrare nella categoria "blogger a modino", mi sento in un certo qual modo autorizzata a sbattermene, spero capirete.
Oggi voglio segnalare a chiunque ancora non lo abbia vista l'ultima divertente commedia dei fratelli Cohen.
La trama in due parole è questa:  un analista della Cia si ritrova  improvvisamente disoccupato e decide di scrivere un libro di memorie. Il dischetto di memorie finisce per sbaglio nelle mani di Linda e Chad, due tizi squinternati che lavorano in una palestra. I due risalgono al proprietario e tentano di ricattarlo, combinando un bel po' di casini.
Il film dura quanto basta, né troppo né troppo poco; ha un buon ritmo e riesce a strappare diverse risate, giocando intelligentemente sui luoghi comuni. Il cast merita davvero: da John Malkovich a Frances Mc Dormand, passando per l'algida Tilda Wilson, etc. Grandioso, in particolare, Brad Pitt che fa l'idiota.

domenica 18 ottobre 2009

Il papà di Giovanna

A Bologna, sul finire degli anni 30, un professore di disegno convince un ragazzo del suo istituto a fare amicizia con sua figlia Giovanna, adolescente fragile, goffa e piena di complessi. L'uomo, accecato dall'amore per la figlia, nega le evidenti difficoltà di questa e con l'intento di darle fiducia in se stessa finisce per illuderla. La ragazza si invaghisce del giovane e quando egli dimostra di interessarsi a una ragazza diversa lei la uccide.
Film pacato, molto sobrio, incentrato, in tipico stile Pupi Avati, sulla spicologia dei personaggi.  Non un capolavoro, ma un film piacevole e ben recitato - dignitoso anche Ezio Greggio, per la prima volta in un ruolo drammatico. Un po' inutile, per non dire inappropriata, a mio avviso, la parte finale con il vicino di casa fascista che viene fucilato dai partigiani.

domenica 11 ottobre 2009

Per chi ama i misteri...

Le immagini dovrebbero suscitare domande più che fornire risposte, a mio avviso. A tal proposito, a tutti gli amanti dei misteri, consiglio vivamente di buttare uno sguardo alla galleria dello scultore nonché fotografo gallese Mac Adams. Se cercate interrogativi le sue opere ve ne forniranno moltissimi.

Kettle, 1987, dalla serie Post modern tragedies.


venerdì 9 ottobre 2009

District9

Faccio fatica ad esprimermi su District9, prima opera del regista sudafricano Neill Blomkarnp, nonché curioso esempio di film a cavallo fra generi e codici. Un po' film di fantascienza, un po' finto documentario, un po' splatter-moovie di serie b. Quel che è certo è che District9 vuole essere una metafora di tutte le storie di razzismo: l'apartheid sudafricano (il film si svolge non a caso a a Johannesburg), la situazione dentro i nostri CPT... Il film racconta quanto è difficile l'integrazione fra diversi e per farlo fonde il più possibile tutto ciò che il cinema permette di fondere. Il risultato finale è tanto originale quanto ambiguo, a mio avviso. Alcune trovate sono notevoli, altre lasciano interdetti. Nello specifico mi trovo concorde con l'osservazione di Paolo Ruffino che scrive: "In un'opera che parla fondamentalmente di razzismo, tutti gli attori che interpretano posizioni di potere sono bianchi, mentre i criminali, le gang o gli inservienti della MNU sono neri. Una caduta di stile un po' grossolana da non poter risultare accidentale."

martedì 6 ottobre 2009

Per chi ama i classici...

Non disprezzo la fotografia digitale, o per meglio dire elettronica - qualcuno potrebbe infatti obiettare che "digitale" si riferisce in verità al metodo di rappresentazione, non alla tecnologia utilizzata.
Una bella immagine è una bella immagine: poco importa che sia stata realizzata tramite dei cristalli di bromuro d'argento in una gelatina o tramite degli elettrodi su un microchip. Lo stesso dicasi per una brutta immagine o per un'immagine semplicemente inutile.
Quello che mi infastidisce un po' è la contraffazione: il ritocco non funzionale all'espressione artistica, bensì atto a camuffare dei difetti. La fotografia chimica non prescinde dalla possibilità di contraffazione, sia chiaro; il digitale ha solo reso le cose un po' più semplici, tutto qua.
Ok, dopo questo pippone vi saluto con un'immagine che amo particolarmente e che credo sia emblematica di un tipo di fotografia "pura", aliena da artifici e correzioni. La foto, una delle sue più celebri, è di August Sander, fotografo tedesco vissuto a cavallo fra il 1800 e il 1900. L'immagine parla da sè, per cui mi cheto.

Il pittore, 1927


lunedì 5 ottobre 2009

Religiolus

Non mi è piaciuto il documentario di Larry Charles sulla religione. Non mi è piaciuto perché l'ho trovato confuso, logicamente non lineare, talvolta contraddittorio e decisamente populista. Dopo circa novanta minuti uno si domanda che finalità abbia avuto ciò che ha visto, cosa abbiano voluto dimostrare le tante interviste ascoltate.
Il comico Maher confonde questioni storiche con questioni religiose, religiosità con fondamentalismo, fatti scientifici con fatti di fede. Egli condanna l'intollerenza delle religioni, ma interrompe costantemente i suoi interlocutori in modo piuttosto prepotente; sembra inoltre avercela a morte con il populismo ma ha lui per primo un approccio populista e molto superficiale. Le sue interviste non permettono un reale approfondimento dei temi trattati. Tutto è finalizzato alla mera e semplice ridicolizzazione: evidentemente ridicolizzaare la diversità è più facile che provare a capirla, confrontandosi seriamente con essa. Religiolus si propone di scuotere le coscienze ma fallisce in modo evidente, nella misura in cui non riesce a dare reali spunti di riflessione.

Il curioso caso di Benjamin Button

Favola, dal color seppia, di un uomo, nato a New Orleans, che ringiovanisce gradualmente negli anni. Nasce,  nel 1918, con le rughe di un ottantenne; muore, negli anni '80, con la pelle liscia di un neonato. Film affascinanate, con una splendida Cate Blanchett (la cui interpretazione spicca notevolmente su quella di tutti gli altri) e un notevole uso della fotografia. Straordinario, infine, l'invecchiamento tramite motion capture del protagonista Brad Pitt. Principale difetto del film di Fincher: malgrado sia tratto da un racconto breve di Fitzgerald, risulta molto lungo e talvolta un po' noioso.

domenica 4 ottobre 2009

Lilija 4-ever

Tanto per iniziare, una confessione: credevo fosse un film sovietico. Invece, Lukas Moodysson, l'autore della pellicola, è un affermato regista svedese. Come è abbarbicata la mia ignoranza!   Seconda cosa: quando ho visto questo film al festival del cinema europeo, ormai una decina di giorni fa, ero piuttosto giù di corda. Questo probabilmente - anzi dovrei dire certamente - ha influenzato il mio modo di approcciarmi al film. Forse quando uno è sfavato non dovrebbe vedere certi mattonazzi, non so... (anche se comunque qualcuno potrebbe obiettare che i mattonazzi ti fanno vedere che c'è chi sta peggio di te).
Lilja 4-ever è, a tutti gli effetti, un pugno ben assestato nello stomaco. Inizia male, continua malissimo, finisce da schifo. Con uno stile sobrio e minimalista - fin troppo asciutto, talvolta - il film racconta una storia crudele e senza speranza.
In una città indefinita dell'Ex URSS, nel degrado più agghiacciante, Lilja vive da sola, dopo esser stata abbandonata dalla madre, emigrata negli Stati Uniti. Lilja ha appena sedici anni e si ritrova a dover combattere per la sua stessa sopravvivenza. Non ha un lavoro, vive in una casa fatiscente e si fa di colla per evedare dall'orrore che la circonda.
Quando comincia a prostituirsi per lei è l'inizio della fine. Volodia, il suo unico giovane amico, sembra aver compreso il tremendo destino che la aspetta, ma lei non vuole ascoltarlo, ha troppo bisogno di sognare. Nel giro di poco tempo viene abbindolata da un giovane svedese che la raggira e la fa andare in Svezia illudendola di trovarle un lavoro e di regalarle una nuova vita. In Svezia Lilja diventa una schiava: corpo inerme nelle mani di un padrone. Semplice merce di scambio: ogni ora un corpo diverso la sovrasta. Uomini giovani, vecchi, timidi, eccentrici, violenti, bavosi. Moodysson mostra vere e proprie carrellate di uomini che si susseguono sopra l'esile corpo di Lilja e lo fa con una freddezza che lascia perplessi. C'è qualcosa di surreale e di tremendo in queste sequanze. In quell'est degradato, violentato dal capitalismo occidentale, Lilja era sola e disperata, ma almeno decideva della sua vita. Nella nordica Svezia Lilja non esiste, la sua dignitià di essere umano non c'è più. Il vero orrore non è rappresentato tanto dall'Ex URSS, con i suoi decadenti palazzoni grigi, ma dalla moderna Europea del nord, con le sue città pulitissime e le sue luci colorate durante la notte.
Per concludere: se siete in vena di fare a botte guardatevi pure Lilja 4-ever, ma state certi che ne prenderete di santa ragione.

venerdì 2 ottobre 2009

La casa sul lago del tempo


Un amore impossibile, questo è il tema del film di Alejandro Agresti, remake di un'opera coreana. Due persone che si cercano, si aspettano e non si trovano mai.
E' vero, la vicenda non è così semplice, a dirla tutta. C'è un paradosso temporale, ebbene si: lei vive nel 2006 e lui nel 2004, ma questo poco importa. La casa sul lago del tempo non è un film di fantascienza, benché ne abbia in parte i connotati. E' una struggente storia d'amore dal ritmo decisamente lento e dal sapore un po' malinconico. Keanu Reeves è "languido e straziante" come qualcuno lo ha definito; Sandra Bullock tutto sommato è dignitosa. La coppia funziona abbastanza, insomma e l'ambientazione del film ha un suo fascino.  Troppo romantico e smielato? Si, decisamente. Un po' macchinoso? Anche. Però nel complesso c'è qualcosa che intriga e che rende il film degno di nota. (Ho detto degno di nota, non spettacolare, sia chiaro)

giovedì 1 ottobre 2009

Basta che funzioni


Il motto, nonché titolo del film, è Basta che funzioni. In effetti l'ultima commedia di Woody Allen  funziona piuttosto bene, non c'è che dire. Non è un capolavoro ma un film piacevole; un film che diverte e invita alla riflessione, come ogni commedia che si rispetti dovrebbe fare.
Il protagonista, perfetto alterego dell'autore, è un ex professore universitario decisamente misantropo e incline al cinismo, che un giorno conosce una ragazza e vede crollare tutte le sue certezze.
La sceneggiatura, scritta negli anni 70, contiene una miriade di auto-citazioni; inoltre il regista, fin dall'inizio del film, offre al pubblico esattamente ciò che il pubblico (o almeno quello più affezionato) si aspetta da lui. Come dice Mereghetti "è fin commovente il modo in cui Woody Allen gira intorno ai soliti temi e ripropone sempre lo stesso "stile", a cominciare da quei titoli di testa bianchi su fondo nero, con gli attori in rigoroso ordine alfabetico."
Commovente o irritante, a seconda dei punti di vista. A mio avviso entrambe le cose. Il buon vecchio Woody palesa il suo narcisismo e prende in giro gli spettatori, me inclusa, dimostrandone la sostanziale stupidità. Lo fa in modo indiretto,  tramite i continui rimandi ai suoi altri film, appunto; ma lo fa anche esplicitamente, nella scena in cui il protagonista guarda la macchina da presa e interpella il pubblico, cercandone la complicità. Lo stesso giochino del personaggio che parla con lo sguardo in macchina è tutto fuorché innovativo.
Per concludere, è come se per novanta minuti Woody ti dicesse: "Ma guarda che idiota che sei, paghi per vedere sempre le solite cose, per sentire sempre le solite battute stantie che ho usato mille volte. Io so fare solo questo eppure tu continui a seguirmi".  E tu, dal buio della sala, sai perfettamente che ha ragione lui e ti senti un idiota, in un certo senso. Eppure non puoi fare a meno di stare al gioco. Vieni deriso ma sei tu il primo a riderne. Sei la vittime di un carnefice geniale e diabolico, del quale però non puoi fare a meno. 
Che straordinaria invenzione il cinema!

martedì 29 settembre 2009

Dead set

Segnalo dal sito Lenny Nero la recensione di Dead set, serie sugli zombie. Una recensione nella quale in parte mi ritrovo e che sottopongo alla vostra attenzione.
Si vive benissimo anche senza vedere Dead set, questo vorrei fosse chiaro a chiunque mi stia leggendo. Appurato ciò, trovo che la serie sia ben fatta e che gli spunti di riflessione non manchino. Se amate il genere zombie dategli una possibilità.

domenica 27 settembre 2009

Il mio cuore umano

Un paio di sere fa ho avuto modo di vedere il documentario di Costanza Quatriglio tratto dal romanzo autobiografico di Nada.  Il Mio Cuore Umano è un viaggio attraverso i luoghi che hanno condizionato la cantante livornese, attraverso i ricordi dell'infanzia e le emozioni di una vita. Nada si mette a nudo con estrema disinvoltura davanti alla macchina da presa, che sembra essere completamente al suo servizio. La cantante racconta la sua giovinezza passata nella campagna Toscana e il precoce debutto artistico a Roma, la difficoltà del distacco dal casa e le paure di un'adolescente che improvvisamente diventa un'icona.
Un film delicato e malinconico. Sicuramente da consigliare.

Mapplethorpe resta a Firenze fino a gennaio

La mostra di Robert Mapplethorpe presso l'Accademia delle Belle Arti di Firenze è stata prorogata fino al 10 gennaio. L'ingresso gratuito non è più il giovedì dalle 19 alle 21 ma il martedì nel medesimo orario. Invito chiunque ancora non abbia avuto modo di vederla a farci un salto. Ne vale assai la pena.

lunedì 21 settembre 2009

Il bacio che aspettavo


La domenica sera, quando piove e il giorno dopo hai un esame (che poi verrà fuori che è stato rimandato, ma questo è un altro discorso), può essere molto rincuorante vedere un filmetto dai facili sentimenti e dalla sceneggiatura tanto lineare quanto scontata.  Se vi trovaste quindi in una situazione similare a quella in cui mi trovavo io, ieri sera, non mi sentirei di sconsigliarvi la visione dell'opera prima di Jonathan Kasdan, dal titolo Il bacio che aspettavo (molto meglio il titolo origianale, Nella terra delle donne).
Il film racconta di un giovane ventiseienne alle prese con tre donne: la nonna un po' rincoglionita, la non più giovanissima vicina di casa, in crisi matrimoniale e la figlia di quest'ultima, adolescente confusa e insicura. Molti gli elementi scontati: la malattia di Sofia, la vicina di casa con cui il giovane fa amicizia; lo sbocciare dell'amore tra la ragazza, figlia di Sofia, e il bravo ragazzo del liceo che fino a quel momento lei non aveva neppure guardato di striscio; il lieto fine ricuorante.
Il film non brilla insomma per originalità e il ritmo non tiene esattamente incollati allo schermo, ma talvolta si ridacchia. Avessi speso sette euro di cinema per vederlo mi sarei mangiata le mani, giuro. Data la situazione, invece, non ho sensi di colpa. Per una domenica sera piovosa, per di più in modalità pre esame, il film è quasi passabile. Peccato solo per Mag Ryan, inquietantemente distrutta dal troppo botulino.

lunedì 14 settembre 2009

Giornate del cinema europeo

Vorrei segnalare a chiunque viva a Firenze, o sia solito bazzicarla, la rassegna Giornate del cinema europeo, che si terrà dal 17 al 27 settembre presso diverse sale cittadine. Per gli amanti delle immagini in movimento credo sia un appuntamento da non perdere.

domenica 13 settembre 2009

Reciproca fuga

"Ho visto il Titanic dieci volte, al cinema", mi ha detto qualche giorno fa un signore, dentro un videonoleggio. "L'ho visto dieci volte perchè ogni volta notavo un dettaglio nuovo della nave. Era come un sogno. Quel film mi ha fatto essere sul titanic per due ore. D'altronde se devo andare al cinema a vedere la vita di tutti i giorni me ne sto a casa. Io al cinema voglio sognare". La stessa cosa affermava Alfred Hitchcok quando sosteneva: "il cinema non è un pezzo di vita, è un pezzo di torta".
In effetti la straordinaria capacità delle immagini in movimento di trasportarci in altri mondi ne costituisce forse il maggior fascino. Chi di noi non ha mai sognato ad occhi aperti grazie a un film? A prescindere da quanto si possa ritenere superfluo vedere un film che racconta vicende di vita quotidiana, credo che tutti noi, talvolta, non si disdegni qualche fuga dalla realtà circostante.
Il fatto è che questo rapporto tra noi e le immagini è quanto meno ambiguo: noi possiamo fuggire dalla nostra realtà quando vogliamo, immergendoci in quella di un Titanic, o di un Signore degli anelli, ma un personaggio di un film può fare la stessa cosa? Può sgattaiolare dal mondo diegetico e rifugiarsi nel nostro, oppure è destinato a star per sempre dentro un 16:9? E se esistesse un luogo di confine, una zona a metà strada fra la realtà e il sogno?
La foto in questione racconta di una reciproca fuga; o almeno, a me piace interpretarla così. Noi entriamo nel film e il protagonista ne esce. Che ci si possa forse incontrare a metà strada? Chissà...
La foto non brilla per perfezione tecnica, come il suo stesso autore, Daniele Greco,  ammette, ma c'è qualcosa di poetico che la rende, a mio avviso, interessante. 

martedì 8 settembre 2009

Milk


L'ultimo film di Gus Van Sant, interpretato magistralmente da Sean Penn, racconta la storia vera del primo uomo gay americano ad avere un incarico pubblico nella città di San Francisco, ucciso nel 1978.
Il regista evita il facile ricorso alla retorica così come l'ancor più facile beatificazione del protagonista. Il film è molto sobrio, perfettamente calibrato e mai noioso.
Sean Penn veste i panni dell'attivista gay senza mai calcare la mano e il resto del cast gli tiene testa.
Interessante, infine,  l'alternanza di sequanze "normali" alle riprese di repertorio.

lunedì 7 settembre 2009

Violenza al cinema

Resto sovente impressionata dal bisogno che certi autori sembrano avere di mostrare, ma forse dovrei dire ostentare al massimo la violenza. Non sono contraria alla violenza sullo schermo, sia chiaro, solo che non sempre la rappresentazione fenomenologica di un fatto drammatico è accompagnata da una reale riflessione sulle sue origini, sulla sua natura profonda, e questo francamente mi dà da pensare. L'estremo realismo delle immagini serve a ben poco se la messa in mostra di un fatto - sia esso uno stupro, un assasinio, un pestaggio o che so io - risulta fine a se stessa. Non è mai quel che si vede che fa male, è come lo si vede e perché.
Di recente ho avuto modo di vedere Rocco e i suoi fratelli, di Visconti, un opera datata 1960.  Ebbene, in quel film, una pellicola che sta per compiere cinquant'anni, ho visto una delle immagini più atroci che mi sia capitato di vedere sullo schermo. Oggi come oggi si fa di tutto per impressionare lo spettatore: effetti speciali da urlo, telecamere in spalla per favorire l'immedesimazione del pubblico, primi piani su corpi sanguinolenti e urla a non finire. Poi un giorno guardi un film del 1960 e ti ritrovi inorridito davanti a una scena di stupro. Curioso, no?

venerdì 4 settembre 2009

2022 i sopravvisuti


Non so se e quanto amiate la fantascienza. Se siete maschi di razza caucasica sotto i quarant'anni è molto probabile che la risposta sia affermativa. Non so neppure se nello specifico vi interessi il genere cosidetto "distopico", ma posso garantirvi che se siete maschi di razza caucasica sotto i quarant'anni è ancora più probabile che la risposta sia affermativa.
Detto ciò, poco importano il vostro genere, la vostra razza e la vostra età: se amate la fantascienza di ambientazione distopica non potete perdervi 2022 i sopravvisuti, di Richard Fleischer (anno 1973). Siamo nel 2022 a New York: la terra è sovrappopolata e inquinatissima. La gente mangia plancton e le stagioni non esitono più, è sempre perennemente estate. Insomma, se non è distopico tutto ciò, cosa può esserlo?
Per onestà vi avverto: l'intreccio fa un po' acqua e la sceneggiatura non lascia esattamente senza fiato. Molte sequenze risultano inevitabilmente piuttosto datate e sovente fanno sorridere più che inquietare; però nel complesso l'atmosfera è assai intrigante e il film coinvolge.

mercoledì 2 settembre 2009

Silhouette


Quando sono in viaggio da qualche parte e con la mia modesta, nonché fieramente analogica f75 faccio un rullino da trentasei foto, generalmente ne trovo non più di due/tre che mi sembrano decenti. Questa, scattata a marzo del 2009 nel villaggio di Kalabougou, in Mali, è senza dubbio una delle foto scattate di recente che preferisco. Molti dicono che è troppo scura, ma a me forse piace esattamente per questo.

lunedì 31 agosto 2009

Mostra fotografica di Robert Mapplethorpe

Ho avuto modo di visitare qualche tempo fa la mostra fotografica di Robert Mapplethorpe, presso l'Accademia delle Belle Arti, a Firenze. Consiglio vivamente a chi ne ha occasione di fare la medesima cosa. La mostra dell'artista newyorkese è costituita da un numero di opere abbastanza limitato, si visita quindi in poco tempo. E' interessante l'accostamento tra i corpi plastici delle foto di Mapplethorpe e le sculture di Michelanglo presenti in Accademia. Insomma, una visita da consigliare!
Peraltro, e con questo concludo, se vi recate alla mostra il giovedì, dalle ore 19 alle ore 21, entrate gratuitamente e avete occasione di farvi anche un giro a scrocco in Accademia.  Mi raccomando però, non traccheggiate troppo, che il 27 settembre finisce.
Per chi volesse saperne di più: Firenze Night & Day

domenica 30 agosto 2009

Il dubbio


L'oramai non recentissimo film di John Patrick Shanley, dal titolo Il dubbio, è innegabilmente un film d'effetto: tecnicamente perfetto, con un cast da brividi e dei dialoghi straordinari. E' un film alla vecchia maniera, insomma, di quelli che non si vergognano di essere fatti bene.
Se si deve trovargli un difetto si può dire che è un film molto freddo e forse un po' furbetto, ma francamente io mi sento di perdonarlo per questo.
La vicenda si svolge a metà anni sessanta, nel Bronx, in un collegio di parrocchia. I protagonisti sono una rigidissima madre superiora, la Sorella Aloysius Beauvier, interpretata da Meryl Streep e un giovane parroco progressista, Padre Flynn, interpretato da Philip Seymour Hoffman. La prima è la preside dell'istituto: ha un temperamento estremamente austero, spaventa tutti gli studenti e vede il male ovunque. Il secondo è un insegnante: appare sempre gentile e alla mano con tutti, ama molto la vita e critica aspramente le frange più conservatrici e retrograde della chiesa.
Sorella Aloysius, spinta dal dubbio di una possibile relazione torbida fra uno studente e il parroco, fa di tutto per allontanare padre Flynn dal collegio.
Il film, incentrato interamente sul forte dualismo fra queste due personalità, sembra parteggiare leggermente per Sorella Aloysius: questa infatti, per motivazioni sia diegetiche (è la protagonista assoluta del film, anche solo per il fatto che occupa lo schermo per più tempo) che extradiegetiche (è interpretata dall'attrice più nota, più anziana e indubbiamente più brava) tende a accaparrarsi la credibilità e la fiducia del pubblico. Bisogna riconoscere, però, che si tratta di una "partigianeria" molto relativa, poiché lo spettatore è portato a non prendere una posizione netta e a dare al al parroco il beneficio del dubbio. Padre Flynn, il primo personaggio mostratoci dal film, non risulta, durante il corso della vicenda, convincente quanto la madre superiora -le molteplici sequenze che ne rivelano l' amore per il cibo e per le gioie della vita non lo aiutano a sembrare credibile-, ma non appare neppure il mostro orripilante che ella vuol dipingere.
Lo spettatore per prima cosa vede Padre Flynn, e fin da subito lo guarda con sospetto, poiché sa che su di lui qualcuno ha un dubbio atroce; è padre Flynn, insomma, a essere sotto accusa, non la madre superiora. In un secondo momento lo spettatore conosce Sorella Aloysius e si appassiona alla teoria di questa, teoria che vede Padre Flynn come un viscido pedofilo; al tempo stesso, però, non riesce a condannare fino in fondo il giovane prete e sul finale del film, non può fare a meno di domandarsi: "Ma non sarà stato innocente? Non avrò creduto a Meryl Streep solo perché il regista ha voluto che credessi a lei?"
Insomma, così come l'austera madre superiora finisce per interrogarsi con estremo dolore sulla reale natura dei suoi sentimenti (avrò agito perchè realmente lo ritenevo colpevole o sono stata spinta da altro?) anche chi guarda il film abbandona la sala con il dubbio di aver preso un grande abbaglio.

Frost-Nixon, il duello


La vicenda di per se è banale: un condutture britannico di talk show, David Frost, intervista il presidente Nixon, dimessosi tre anni prima. Quel che colpisce è il modo con cui una banale intervista televisiva diviene un vero e proprio match all'ultimo sangue. Lo spettatore resta inchiodato per due ore allo schermo e assiste alla preparazione nonché allo svolgimento del duello televisivo con la stessa tensione emotiva con cui seguirebbe un incontro di box. I due attori, Frank Langella nei panni di Nixon, e Michael Sheen in quelli di Frost, sono veramente eccezionali e l'uso del montaggio è magistrale. Tutto riconduce al ring e la tensione non cala un solo minuto. Interessante anche la profondità psicologica dei personaggi e la loro estrema sfaccettatura. Insomma, veramente un gran bel film.