domenica 28 febbraio 2010

La prima cosa bella

L'introverso e infelice Bruno, insegnante presso un istituto tecnico romano, torna nella città natale, Livorno, ad assistere la madre gravemente malata di tumore. Durante la trasferta fa i conti con il suo passato, con la sua famiglia, e con tutto ciò da cui è fuggito anni addietro.
La prima cosa bella è un film, come molti prima di me hanno già detto, dal gusto dolce e amaro. Può far ridere, e può far piangere. Gli piace vincere facile, è vero. Però in un modo o in un altro colpisce, questo non lo si può negare.
Personalmente posso dire di aver riso parecchio davanti a questo film. Anche laddove ci sarebbe stato da piangere lo straordinario Valerio Mastandrea è riuscito a farmi ridere. D'altronde Valerio mi fa sempre schiantare, c'è poco da fare. In questo film poi è di una bravura incredibile.
Senza il suo sguardo un po' da cane bastonato, senza quel suo aggirarsi silenzioso tra la folla con l'aria di chi si sente perennemente a disagio, l'ultimo film di Virzì perderebbe diversi punti. Tutto il cast è meritevole, dalla Sandrelli, alla Pandolfi, ma Mastandrea spicca senza ogni dubbio.

martedì 23 febbraio 2010

Avatar, il pippone

Vi ho avvertito: scrivere tutto quello che c'è da scrivere su Avatar significa propinare ai lettori un pippone infinito. In questa sede non ho voluto farlo. Se però qualcuno di voi fosse tanto masochista da volersi sorbire pure il pippone... Qui trovate un mio articolo più approfondito.

lunedì 22 febbraio 2010

Il concerto

Mi vengono in mente tre cose da dire su questa commedia: piacevole, piuttosto furbetta, talvolta un po' sopra le righe.
Non mancano le occasioni per farsi due risate o per commuoversi, sia chiaro, però il film qualche difettuccio francamente ce l'ha (mette troppa carne al fuoco, ad esempio). Carino, insomma. Non aggiungerei altro. La cosa più  bella è senza dubbio la musica.

giovedì 18 febbraio 2010

Sesso, sesso, sesso... che noia!

Gad Lerner scrive sul suo blog, a proposito dell'esibizione sanremese della spogliarellista Dita Vonn Teese:
"Sono contrario all’uso ornamentale e accessorio del corpo della donna in tv, ma non sono un bacchettone incapace di apprezzare lo strip artistico, ironico e sensuale di una donna astuta e intelligente."
Ecco, neppure io mi sento bacchettona, onestamente, però credo che ormai si sia tutti talmente subissati di immagini trasudanti sesso, da non poter più discernere quelle belle da quelle brutte, quelle artistiche da quelle volgari, quelle ironiche da quelle serie. Mi compiaccio con Gad se lui ancora ci riesce. A me non riesce più. Una bella immagine va sempre difesa, sia chiaro, ma questa bellezza si confonde in un magma di squallore, ignoranza, volgarità... mi domando che senso abbia. Sarà stato anche bello lo spogliarello di Dita Voon Teese, non lo metto in dubbio, solo che di donne nude, in un modo o nell'altro, non se ne può più. Io, da spettatrice femminile, sono stufa, ancor più che indignata o offesa. Stufa di vedere la nudità in tutte le sue forme, alte o basse che siano. Stufa dell'ostentazione della sensualità, degli ammiccamenti... di tutto ciò che rimanda più o meno esplicitamente al sesso. Mi domando come facciano a non essere stufi gli uomini, a dirla tutta. L'iperfetazione di immagini più o meno forti rende il sesso quanto di più noioso esista al mondo. La trasgressione viene completamente annullata da questo bombardamento costante di riferimenti, talvolta velati, talvolta palesi. Trovo tutto ciò molto molto triste. Non sarebbe forse l'ora di abbozzarla?
 
 
P.S.: ero tentata di mettere un'immagine dello spogliarello, accanto al post. Ma ho cambiato idea. Se c'è una cosa che cerco di evitare è proprio questa, annoiare i miei pochi fedeli lettori.

martedì 16 febbraio 2010

Motel Woodstock

Son d'accordo con Maurizio Porro, "da qualunque parte lo si prenda, sociologica o romantica o sessuale, il film di Ang Lee è bello, divertente, originale".
Certo, se volete un film sulla musica cascate male: il regista fa a mala pena intravedere il concerto. Si concentra piuttosto sulla cornice, su tutto ciò che ruota e che ha ruotato attorno a questi tre giorni di musica e pace. Lo fa però in modo delizioso, strappando diversi sorrisi e molta tenerezza. Motel Woodstock è un film delicato, soffice, estremamente rispettoso; ha un tocco di una straordinaria lievità. Da vedere, si.

lunedì 15 febbraio 2010

Tra le nuvole

Se Tra le nuvole, di Jason Reitman, voleva parlare della
disoccupazione, direi che il film è riuscito piuttosto male. Diversi critici, in effetti, hanno sottolineato come questa commedia rifletta amaramente sulla tragica realtà di chi perde il proprio lavoro. A mio avviso questo film parla di ben altro. E' una commedia amara, è vero; di un cinismo disarmante. Ma non riflette sulla realtà della disoccupazione, bensì su quella della solitudine dell'essere umano. Tra le nuvole racconta le incertezze della società moderna, il suo nichilismo, la mancanza dei punti fermi. Il protagonista Ryan Bingham, specialista del licenziamento, è un uomo di mezza età che ha fatto dell'isolamento una scelta di vita. Non vuole legami, perché i legami pesano, il peso impedisce di muoversi e "più lentamente si vive più velocemente si muore: non siamo cicogne zoppe, siamo squali!".  Ryan affronta la vita privata con lo stesso cinismo con cui svolge il suo lavoro di tagliatore di teste: se ne sbatte di tutto. Sostanzialmente rifiuta ogni responsabilità. Il suo unico obiettivo nella vita è raccogliere più miglia (e quindi più bonus) possibili, volando a giro per il mondo - il suo lavoro lo obbliga a viaggiare 322 giorni all'anno. A lui basta poco per stare bene: essere vestito di tutto punto, ottimizzare al massimo il tempo, fare le cose con dignità. Ma quella che lui definisce dignità è in realtà pura apparenza, tanto è vero che quando una delle persone licenziate finirà col suicidarsi, sarà la giovane collega rampante, apparentemente stupida e spietata, ad avere rimorsi di coscienza. Lui andrà avanti per la sua strada, come nulla fosse. Neppure la relazione con Alex, fascinosa donna incontrata durante un viaggio, riesce a cambiare le cose. Neppure l'amore fa vacillare le certezze di Ryan. O meglio, l'amore fa vacillare per un attimo le sue certezze ma la dura realtà lo riporta ben presto alla vita di sempre, al cinismo più accanito e al vuoto valoriale. Chi semina vento raccoglie tempesta, dice un proverbio. In un certo senso si può leggere così, Ryan ottiene ciò che ha meritato. Niente lieto fine, insomma, per un protagonista freddo e insensibile. Ma c'è pure un'altra lettura possibile:  Ryan resta solo perché tutto sommato ha ragione lui, da soli si sta meglio. Anche chi sembrava aver qualcosa da offrire si rivela una delusione. L'unico legame che sembrava valer la pena di vivere si rivela una colossale fregatura.
Juno, il film precedente di Reitman, era un graziosissimo inno alla vita, un elogio di quel tepore che solo la  famiglia può dare. Tra le nuvole ci mostra l'altra faccia della medaglia. Se Juno lasciava lo spettatore con un sorriso sulla bocca, questo film ha un retrogusto (nemmeno troppo retro) amaro come la pece.

domenica 14 febbraio 2010

St. Trinian's

Commediola grottesca, leggermente irriverente, con colori e fotografia da videoclip. Un filmetto britannico senza troppo impegno ma che talvolta diverte. I personaggi son volutamente macchiettistici e diverse scene d'azione rimandano ai fumetti dei super eroi. Il cast è degno di nota. Splendido, in particolare, Rupert Everett nel suo doppio ruolo, di uomo (il padre della giovane protagonista che finisce in un college un po' malfamato) e di donna (la direttrice della scuola). Autoironico Colin Firth nel ruolo di ministro dell'istruzione.

venerdì 12 febbraio 2010

Il servo

Di capolavori la storia del cinema ce ne ha dati tanti. Potrei elencarne qualche decina, tra quelli che ho avuto il piacere di vedere in venticinque anni di vita, ma certamente il mio elenco sarebbe tutto fuorché esaustivo. Il fatto che Il servo rientri a pieno titolo nella lista spiega però solo in parte il mio enorme entusiasmo. Di film grandiosi ce ne sono tanti, come dicevo, ma alle volte capita di vederne qualcuno che tocca le nostre corde in modo particolare. Ecco, per me Il servo è uno di questi casi.  
Vuoi perché ha un'atmosfera da thriller (anche se di thriller non si può parlare), vuoi perché narra una storia cupa, morbosa, direi dissoluta (quel genere di storia che amo particolarmente), vuoi perché è un film dalla straordinaria sobrietà, fatto sta che quando è arrivata la scritta fine, mi son detta che lo avrei rivisto da capo con piacere. E son pure sicura che nel caso lo avessi fatto, non mi sarei annoiata.
Il servo racconta la vicenda di un giovane aristocratico britannico gradualmente soggiogato dal suo maggiordomo. Anzi, mi correggo, racconta di una duplice autodistruzione; racconta di due uomini, accomunati da una profonda solitudine, che finiscono in una spirale di abbrutimento, decadenza e depravazione. Il protagonista, emblema dell'immaturità e del vuoto affettivo che caraterizza spesso l'aristocrazia, è un tizio fragile e disperato: abusa dell'alcol, non sa muovere un dito senza qualcuno che lo aiuti, sta con una donna fredda e assai pallosa. E' un uomo che ha tutto, ma che non controlla niente. Il maggiordomo, che inizialmente si cala alla perfezione nel suo ruolo, comprende in breve tempo la debolezza del ricco padrone e decide di approfittarsene, ma finisce in un vortice fuori dal suo controllo. Losey mette in scena, adattando uno scritto di Pinter, la perfetta metafora dei rapporti di classe, e lo fa con uno stile barocco semplicemente impeccabile. Mi direte voi, si può esser barocchi restando sobri? Ebbene si, Losey ci riesce. Tutto in questo suo film è eccessivo, in un certo senso; eppure tutto è al contempo molto calibrato.  Personaggi e ambienti, al di là dell'apparente compostezza, covano il germe della follia. L'atmosfera è a dir poco torbida ma lo stile è privo di qualsiasi sbavatura. Non c'è un solo dialogo fuori posto, una sola inquadratura che non funzioni.  L'uso della profondità di campo è magistrale, e i giochi di luci ed ombre hanno un fascino incredibile.  Molte sequenze mi hanno fatto venire i brividi ma se ve le racconto tutte non vi passa più e poi rischio di rovinarvi la sorpresa, qualora ancora non vi siate decisi a vederlo.

domenica 7 febbraio 2010

Avatar

Non voglio dilungarmi su questo film. Non perché non meriti diverse considerazioni ma perché scriverle tutte  vorrebbe dire annoiarvi con pipponi infiniti che onestamente credo non meritiate. Preferisco andare sul sintetico, tanto chi vuole approfondire avrà modo di farlo altrove.
Avatar è un film western tecnologicamente avanzato. Ripropone i miti classici di ogni western; ha la spiccata tendenza al racconto moraleggiante tipica dei classici western; separa nettamente i buoni e i cattivi come ogni western. A mio avviso il difetto principale di questo film è la lunghezza. Il troppo stroppia, direbbe Mary Poppins. Le cose veramente belle della vita non dovrebbero mai durare quasi tre ore. Ci si annoia a fare qualsiasi cosa in tre ore, anche le cose più gratificanti. E vedere un film in genere non fa eccezione. Un film di quasi tre ore che sia capace di non farti guardare l'orologio è cosa rara, rarissima direi. Avatar non è fra questi.

venerdì 5 febbraio 2010

Mi sono innamorata

Ho visto Il servo (1963), di Joseph Losey. Credo di essermi innamorata di questo regista. Il mio obiettivo futuro sarà conoscere tutto ciò che ha girato.
Ora vado a dormire, s'è fatta 'na certa. Però vi avverto: di questo film se ne riparla a breve. Voi intanto guardatevelo.