venerdì 12 febbraio 2010

Il servo

Di capolavori la storia del cinema ce ne ha dati tanti. Potrei elencarne qualche decina, tra quelli che ho avuto il piacere di vedere in venticinque anni di vita, ma certamente il mio elenco sarebbe tutto fuorché esaustivo. Il fatto che Il servo rientri a pieno titolo nella lista spiega però solo in parte il mio enorme entusiasmo. Di film grandiosi ce ne sono tanti, come dicevo, ma alle volte capita di vederne qualcuno che tocca le nostre corde in modo particolare. Ecco, per me Il servo è uno di questi casi.  
Vuoi perché ha un'atmosfera da thriller (anche se di thriller non si può parlare), vuoi perché narra una storia cupa, morbosa, direi dissoluta (quel genere di storia che amo particolarmente), vuoi perché è un film dalla straordinaria sobrietà, fatto sta che quando è arrivata la scritta fine, mi son detta che lo avrei rivisto da capo con piacere. E son pure sicura che nel caso lo avessi fatto, non mi sarei annoiata.
Il servo racconta la vicenda di un giovane aristocratico britannico gradualmente soggiogato dal suo maggiordomo. Anzi, mi correggo, racconta di una duplice autodistruzione; racconta di due uomini, accomunati da una profonda solitudine, che finiscono in una spirale di abbrutimento, decadenza e depravazione. Il protagonista, emblema dell'immaturità e del vuoto affettivo che caraterizza spesso l'aristocrazia, è un tizio fragile e disperato: abusa dell'alcol, non sa muovere un dito senza qualcuno che lo aiuti, sta con una donna fredda e assai pallosa. E' un uomo che ha tutto, ma che non controlla niente. Il maggiordomo, che inizialmente si cala alla perfezione nel suo ruolo, comprende in breve tempo la debolezza del ricco padrone e decide di approfittarsene, ma finisce in un vortice fuori dal suo controllo. Losey mette in scena, adattando uno scritto di Pinter, la perfetta metafora dei rapporti di classe, e lo fa con uno stile barocco semplicemente impeccabile. Mi direte voi, si può esser barocchi restando sobri? Ebbene si, Losey ci riesce. Tutto in questo suo film è eccessivo, in un certo senso; eppure tutto è al contempo molto calibrato.  Personaggi e ambienti, al di là dell'apparente compostezza, covano il germe della follia. L'atmosfera è a dir poco torbida ma lo stile è privo di qualsiasi sbavatura. Non c'è un solo dialogo fuori posto, una sola inquadratura che non funzioni.  L'uso della profondità di campo è magistrale, e i giochi di luci ed ombre hanno un fascino incredibile.  Molte sequenze mi hanno fatto venire i brividi ma se ve le racconto tutte non vi passa più e poi rischio di rovinarvi la sorpresa, qualora ancora non vi siate decisi a vederlo.

1 commento:

  1. Ah, c'è di mezzo Pinter. Motivo in più per metterlo nella lista dei film da vedere!

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