lunedì 15 febbraio 2010

Tra le nuvole

Se Tra le nuvole, di Jason Reitman, voleva parlare della
disoccupazione, direi che il film è riuscito piuttosto male. Diversi critici, in effetti, hanno sottolineato come questa commedia rifletta amaramente sulla tragica realtà di chi perde il proprio lavoro. A mio avviso questo film parla di ben altro. E' una commedia amara, è vero; di un cinismo disarmante. Ma non riflette sulla realtà della disoccupazione, bensì su quella della solitudine dell'essere umano. Tra le nuvole racconta le incertezze della società moderna, il suo nichilismo, la mancanza dei punti fermi. Il protagonista Ryan Bingham, specialista del licenziamento, è un uomo di mezza età che ha fatto dell'isolamento una scelta di vita. Non vuole legami, perché i legami pesano, il peso impedisce di muoversi e "più lentamente si vive più velocemente si muore: non siamo cicogne zoppe, siamo squali!".  Ryan affronta la vita privata con lo stesso cinismo con cui svolge il suo lavoro di tagliatore di teste: se ne sbatte di tutto. Sostanzialmente rifiuta ogni responsabilità. Il suo unico obiettivo nella vita è raccogliere più miglia (e quindi più bonus) possibili, volando a giro per il mondo - il suo lavoro lo obbliga a viaggiare 322 giorni all'anno. A lui basta poco per stare bene: essere vestito di tutto punto, ottimizzare al massimo il tempo, fare le cose con dignità. Ma quella che lui definisce dignità è in realtà pura apparenza, tanto è vero che quando una delle persone licenziate finirà col suicidarsi, sarà la giovane collega rampante, apparentemente stupida e spietata, ad avere rimorsi di coscienza. Lui andrà avanti per la sua strada, come nulla fosse. Neppure la relazione con Alex, fascinosa donna incontrata durante un viaggio, riesce a cambiare le cose. Neppure l'amore fa vacillare le certezze di Ryan. O meglio, l'amore fa vacillare per un attimo le sue certezze ma la dura realtà lo riporta ben presto alla vita di sempre, al cinismo più accanito e al vuoto valoriale. Chi semina vento raccoglie tempesta, dice un proverbio. In un certo senso si può leggere così, Ryan ottiene ciò che ha meritato. Niente lieto fine, insomma, per un protagonista freddo e insensibile. Ma c'è pure un'altra lettura possibile:  Ryan resta solo perché tutto sommato ha ragione lui, da soli si sta meglio. Anche chi sembrava aver qualcosa da offrire si rivela una delusione. L'unico legame che sembrava valer la pena di vivere si rivela una colossale fregatura.
Juno, il film precedente di Reitman, era un graziosissimo inno alla vita, un elogio di quel tepore che solo la  famiglia può dare. Tra le nuvole ci mostra l'altra faccia della medaglia. Se Juno lasciava lo spettatore con un sorriso sulla bocca, questo film ha un retrogusto (nemmeno troppo retro) amaro come la pece.

2 commenti:

  1. non sono daccordo su certi aspetti.
    Reitman di sicuro si è voluto concentrare sulla "solutidine dell'essere umano" ma il tema principale del film e della storia che ha voluto trattare è la disoccupazione. L'ha saputa argomentare bene e portare avanti per tutta la durata del lungometraggio. Dopo il capolavoro di Juno, si riconferma ottimo regista qual'è, incrociamo le dita per gli oscar anche se la vedo dura, durissima per una statuetta (sceneggiatura)
    A presto

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  2. Mah... Io direi piuttosto questa cosa: la disoccupazione è una condizione di incertezza, di instabilità. Questo film parla senza dubbio della mancanza di certezze, della profonda instabilità che caratterizza la nostra era. Per me questo è il tema. Non mi sento di dire che la disoccupazione sia un pretesto per parlare di altro, ma non posso neppure dire di aver letto nel film una denuncia sugli effetti disastrosi della crisi economica mondiale; se di denuncia occorre parlare, per me questo film denuncia il vuoto di senso in cui tutti noi viviamo. Ad ogni modo, a prescindere dalle differenti letture, mi pare di capire che il film è piaciuto molto anche a te.

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